La consegna è quella del silenzio eterno. Prima, durante e dopo. Il segreto del Conclave è «obbligo grave». L’elezione del successore di Pietro alla guida della Chiesa di Roma è inviolabile per chiunque. Di certo, però, la designazione di Joseph Ratzinger, il Papa tedesco, è mistero tra i misteri. Passaggi epocali nella storia millenaria d’Oltretevere, da quello scrutinio che lo consacra Pontefice, alle sue clamorose dimissioni, sino alla successione di Jorge Mario Bergoglio, il Papa venuto da molto lontano. Un filo rosso che si dispiega nei capitoli più insidiosi di questi ultimi diciassette anni della Sancta Romana Ecclesia, da quando Giovanni Paolo II lasciò per sempre la terrena guida della Chiesa Universale dopo un pontificato durato ben 27 anni. La storia, dunque, quella racchiusa dentro le mura vaticane, la si può raccontare solo in punta di piedi, ben consapevoli che su quelle pagine sussurrate dentro la Cappella Sistina, sede del Conclave, non ci possono essere prove. Si brucia tutto, dalle schede di votazione a quel foglio che si consegna ad ogni votante, con su scritti tutti i nomi dei Cardinali elettori. Non si lasciano impronte digitali, nemmeno per errore. Da quel 2 aprile del 2005, quando Karol Wojtyla spirò, ad oggi, però, i fatti “divini” che si sono incrociati nella storia della chiesa vanno ben oltre il mistero.

Racconti segreti

Per scandire i passaggi più delicati bisogna far ricorso a racconti diretti e riservati, uomini ombra che hanno guidato nel silenzio, con saggezza e rigore, il trapasso. Ci sono, poi, strade strette e impervie, da quelle prescritte dal diritto canonico alle temute scissioni in una chiesa sempre tormentata nell’atavica contesa tra conservatori e riformisti. Oggi più che mai, anche e soprattutto dopo la scomparsa di Papa Ratzinger, riaprire quei cassetti rimasti a lungo sigillati aiuta a comprendere i passaggi che hanno scolpito una delle fasi più cruente della storia vaticana. In questo scenario di misteri ci sono racconti riservati e protagonisti rimasti nel silenzio. Tra tutti c’è, indiscutibilmente, un nome rimasto da sempre nell’ombra, quello del Cardinale sardo Mario Francesco Pompedda, un potente tra i potenti della chiesa universale. Un uomo chiave, scomparso improvvisamente il 18 febbraio del 2006, appena dieci mesi dall’elezione a Pontefice di Joseph Ratzinger. È lui, più di tutti, che in quel conclave deve sobbarcarsi il peso dell’elezione del Santo Padre, non foss’altro per aver riscritto, su mandato diretto di Karol Wojtyla, le rigorosissime regole per la successione proprio di Giovanni Paolo II. Un ruolo di garanzia e di diritto, una personalità che conosce il flebile limite delle “intese” interne al Conclave, con il rischio sempre latente di nullità di elezione se dovesse emergere un accordo chiaro ed esplicito tra più parti per condizionare la “chiamata” del Sommo Pontefice.

Conclave “sardo”

È la storia di umile prelato sardo, fattosi Vescovo e supremo depositario della Giustizia universale della Chiesa, a conferirgli quell’autorevolezza che ai piani alti di San Pietro in molti gli riconoscono. Ancora senza un titolo ecclesiastico Pompedda viene incaricato dal Santo Padre di riscrivere le norme per governare «la sede vacante e l’elezione del pontefice». Tutte disposizioni firmate dal Cardinale sardo che Giovanni Paolo II promulga con la Costituzione Universi dominici gregis del 22 febbraio 1996. Norme che stabilivano importanti novità sul quorum per l’elezione del Papa e rigettavano l’acclamazione o la conspiratio. Non fu, dunque, un caso che Giovanni Paolo II, il 29 novembre 1997, lo nominò Vescovo, con il titolo di Arcivescovo di Bisarcio, scelto in omaggio alla sua terra d’origine. La carriera dell’Avvocato di Dio è fulminante: il 16 novembre 1999 viene nominato Prefetto del Tribunale della Segnatura apostolica e nel contempo Presidente della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, diventando di fatto il numero uno della Giustizia nella Chiesa Universale. Il 21 febbraio del 2001 Giovanni Paolo II lo nominò Cardinale.

Il vento della storia

Da quel momento l’eminenza sarda diventa un punto di riferimento irrinunciabile proprio per il futuro conclave, quello che dovrà eleggere il successore di Karol Wojtyla, il Grande. Il rapporto con Joseph Ratzinger, in quel momento il numero due della Santa Sede, è di rispetto e reciproco riconoscimento, nel contempo, però, il porporato di Ozieri intesse rapporti con tutti, persino con Jorge Mario Bergoglio, quel Cardinale di strada di cui tutti, dalle Villa Miseria, le favelas argentine, a tutto il Sud America, descrivono come di un uomo rivoluzionario per la chiesa. Il vento che soffia forte sul Vangelo riposto sul feretro di Karol, la chioma candida di Ratzinger increspata dalle raffiche che attraversano San Pietro, sono simboli divini impressi nella storia. È il 17 aprile del 2005 quando i 115 Cardinali con diritto di voto varcano la porta del Conclave, quello chiamato ad eleggere il successore di Wojtyla. È domenica. Per quasi tutti è la prima volta nel seggio della cappella Sistina. Solo due di loro avevano partecipato all’elezione del Papa polacco, uno di loro è il Cardinale decano, Joseph Ratzinger, il predestinato. Nella messa del 18 aprile, la Pro Eligendo Romano Pontifice, nella basilica di San Pietro l’omelia di apertura del Conclave la pronuncia proprio lui. Non era ancora Papa, ma le sue parole risuonarono come un’investitura pesante, quasi un manifesto programmatico della chiesa futura. Il Cardinale teologo, il glaciale tedesco giunto dalla Baviera sino alla terra di Pietro, era a tutti gli effetti il candidato più forte nell’ascesa pontificia. Il rischio, però, di entrare Papa e rimanere Cardinale era tutt’altro che campato per aria. Le vie del Signore e quelle del Conclave erano del resto infinite e misteriose. L’elezione del 265esimo pontefice era tutt’altro che scontata. Quello che accadrà in quei due giorni di Conclave, in una Cappella Sistina vietata a chiunque, è scolpito nel mistero e negli appunti segreti di quell’elezione. Si erano tutti impegnati con un sacro giuramento: «Promettiamo e giuriamo di osservare con la massima fedeltà e con tutti, sia chierici che laici, il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo riguarda l’elezione del romano pontefice e su ciò che avviene nel luogo dell’elezione, concernente direttamente o indirettamente lo scrutinio».

La contesa

Quel che accade nel seggio di San Pietro, però, è un racconto che possiamo rievocare con dettagli appresi dalla voce sussurrata di un protagonista, esattamente il giorno dopo quel Conclave. A contendersi la mitra papale ci sono Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, l’italo-argentino. Sono i numeri a sancire una partita delicatissima per la successione. Presiede il Conclave Joseph Ratzinger, uno dei contendenti al trono di Pietro. È lui che ricorda le clausole e le regole dell’elezione: la Costituzione apostolica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Universi Dominici Gregis, emanata il 22 febbraio 1996, proprie quelle scritte da Mario Francesco Pompedda, il Cardinale sardo. Per 115 volte, per ogni votazione, il giuramento è solenne. Prima di ogni scheda deposta nell’urna i cardinali invocano la frase fatidica: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Ci saranno tre votazioni prima dell’elezione del successore di Karol, tutte e tre scandite da risultati che rischiano di bloccare la designazione del nuovo Papa.

Il Manuale di Bisarcio

È il manuale del Vescovo sardo di Bisarcio, il Cardinale Pompedda, a regolare lo scrutinio. E lui, il depositario di quelle leggi, è lì. Nella prima votazione Joseph Ratzinger, decano del Sacro collegio, ottiene 47 voti, Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires, dieci, Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, nove, Camillo Ruini, già vicario apostolico di Sua Santità per la diocesi di Roma sei, Angelo Sodano, già segretario di Stato vaticano quattro. Ratzinger è l’unico ad ottenere un voto strutturato, ma la provvidenza terrena suggerisce un’alleanza tra gli oppositori del Decano, considerato troppo conservatore per una Chiesa del terzo millennio. È nella seconda votazione che il blocco avanza pesantemente.

L’ultimo voto

A Ratzinger mancano ancora 30 voti per raggiungere i due terzi necessari per l’elezione, ma nell’urna si affaccia quello che viene descritto come un «Uomo di preghiera, che rifugge la scena mediatica e conduce uno stile di vita sobrio ed evangelico». È il Cardinale argentino Mario Jorge Bergoglio. La seconda votazione conferma la svolta: Ratzinger 65, Bergoglio 35. Al decano mancano 12 voti per raggiungere i due terzi, asticella posta a 77 voti, ma all’argentino ne mancano quattro per sbarrare la strada al futuro Papa. È martedì 19 aprile, sono le 11 del mattino. La memoria storica e segreta di quella mattina segna la terza votazione: Ratzinger 72, Bergoglio 40. La chiesa di Pietro rischia lo stallo. Il Cardinale del tango rifugge, vorrebbe restare tra i poveri della sua Argentina, ma i suoi sostenitori sono irremovibili. È a quel punto che la “Divina Provvidenza”, senza scrivere niente, perché qualsiasi patto avrebbe reso nullo ogni atto conseguente, compresa l’elezione del Papa, suggerisce una staffetta ideale, quella tra Joseph Ratzinger e Jorge Bergoglio, il conservatore e il riformista. Pompedda è riservato, parla con gli sguardi, con l’autorevolezza di chi ha ribadito nel suo “codice del conclave” la possibilità di eleggere un nuovo Pontefice anche in presenza del suo predecessore.

Passaggio chiave

È il passaggio chiave. Ratzinger alla quarta votazione viene eletto 265esimo pontefice della Sacra romana chiesa. Bergoglio ritorna nella sua Buenos Aires, ma non per sempre. Un anno dopo Pompedda muore, il suo appartamento a Santa Marta è immediatamente sigillato con ceralacca e timbro dello Stato pontificio. A celebrare le esequie del cardinale sardo è Joseph Ratzinger, il Papa in persona. Sette anni dopo, è il 23 febbraio del 2013, il Papa tedesco, per la seconda volta nei duemila anni di storia della Chiesa, si dimette da Sommo Pontefice, ufficialmente per ragioni di salute. È a quel punto che i Cardinali, per scegliere il successore di Joseph, sono «andati a prenderlo quasi alla fine del mondo». Jorge Mario Bergoglio, il Papa delle “favelas” argentine, diventa Francesco. Una strada segnata dalla storia e da un conclave, quello dell’elezione di Ratzinger, tanto misterioso quanto illuminato. Mario Francesco Pompedda, il Giudice supremo, il raffinato giurista sardo, di quel conclave è stato testimone e protagonista, nel segreto e nella lungimiranza della chiesa di Roma.

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