La storia di Giorgio Rosa, eclettico ingegnere di Rimini, è vera. Ne hanno fatto persino un film, “L’Isola delle Rose”. Il tutto si svolge nella riviera romagnola. È il 1968. Le cronache raccontano: un giovane ingegnere, oppresso da uno Stato invadente che impedisce ai giovani libertà e autogestione, decide di mettere a frutto i suoi studi. A 11.612 metri dalla battigia realizza una piattaforma galleggiante di 400 metri quadri, fuori dalle acque territoriali italiane. Nessuno gli potrà dire niente, secondo le sue valutazioni. Anzi, fa di più.

Stato dell’Isola delle Rose

Il primo maggio del 1968 si autoproclama Stato Indipendente: “Libera Teritorio de la Insula de la Rozoj”. Lingua ufficiale l’esperanto. Emissione postale e passaporti. Ne parlerà il mondo. Una valanga di richieste di cittadinanza da tutti i continenti, Stati Uniti compresi. Il Ministro dell’Interno di allora, un democristiano incallito, Franco Restivo, il Presidente del Consiglio era Giovanni Leone, riceve persino una chiamata dall’Onu per rispettare e sostanzialmente riconoscere quella micronazione. Una sorta di figuraccia mondiale. Temendo l’ombra di se stesso, il Governo di allora dà ordine di “comprare” in qualche modo, con regalie e concessioni, i diretti supporters dell’ingegner Rosa, per tentare di farlo desistere, costringendolo ad abbandonare l’isola artificiale costruita in mezzo alle acque internazionali, fuori dalla giurisdizione del governo Leone. Lui, il testardo ingegnere, dichiaratosi presidente del Libero Stato dell’Isola delle Rose, però, non demorde. Corre a Strasburgo, al Consiglio d’Europa, che lo ascolta in plenaria. Il diritto internazionale e del mare non è contro quella piattaforma galleggiante dichiaratasi Stato libero. Lo Stato italiano, però, in mezzo al mare non voleva niente che turbasse la quiete e la navigazione. Lo Stato democristiano, in realtà, non voleva tentazioni libertine a due passi da casa. Ci vollero tre anni, ma alla fine lo Stato, forte con i deboli e debole con i forti, dichiarerà solennemente guerra allo Stato dell’Isola delle Rose.

Isola-Stato bombardata

L’undici febbraio del 1969 i palombari artificieri della Marina Militare Italiana e il Comando Subacqueo incursori minarono l’Isola con 75 kg di esplosivo. Fu una figuraccia. L’Isola non affondò. Ci tornarono due giorni dopo con 1080 kg di esplosivo. Ennesima figuraccia. L’Isola dovette attendere il 26 febbraio del 1969 per cedere ad una forte burrasca che la fece inabissare. Da allora sono passati 54 anni. Il diritto internazionale è cambiato proprio in seguito a quella vicenda: da sei miglia il confine delle acque internazionali è passato a 12 miglia, il doppio. L’obiettivo era quello di scongiurare nuove Isole delle Rose. In Sardegna, invece, trasformata nell’Isola delle pale, in terra e in mare, regole non ne esistono. Chiunque arrivi, dalla Norvegia alla Svezia, dall’Inghilterra agli Stati Uniti, è libero di far quel che vuole. O meglio di progettare e ipotecare il mare davanti alle coste sarde come meglio crede, anche se l’obiettivo è devastare scenari e paesaggi, attentare alla navigazione e deturpare per sempre il patrimonio marino della zona prescelta per lo scempio. A Giorgio Rosa, l’ingegnere, nonostante il riconoscimento internazionale, gli bombardarono, senza nemmeno riuscirci, la piattaforma-Stato galleggiante piazzata nelle acque internazionali, in un mare, il Tirreno, che, con tutto il rispetto, non vale un granché rispetto a quello sardo.

Spiagge mozzafiato

Qui, invece, nel paradiso terrestre del Mediterraneo, con spiagge e paesaggi mozzafiato capita che società potenti, multinazionali a stelle e strisce ed ora, persino, i crucchi spediti dalla Germania che fu della Merkel, vengano per insidiare e occupare gli specchi acquei a mare più pregiati, a suon di pale eoliche da quasi 300 metri piazzate al confine delle acque internazionali, a due passi dall’orizzonte sinora intonso ed esclusivo dell’Isola. L’affronto, l’ennesimo, si consuma qualche ora prima della fine del mese di marzo, quando il Ministero della Sicurezza Energetica, riceve una caterva di carte progettuali tutte marchiate Germania, destinate all’occupazione dello specchio acqueo ritenuto dalle più importanti riviste turistiche internazionali come il più esclusivo al mondo. Stiamo parlando di quel tratto di costa che da Capo Spartivento, comune di Domus de Maria, attraversando Santa Margherita di Pula, sino a Pula, racchiude un patrimonio di spiagge incantate, scenari mozzafiato. Non è un caso che lì ci sia anche il primo resort al mondo per qualità, il Forte Village, quello dei russi. A presentare l’oltraggio a quella costa è la BayWa r.e., una multinazionale tedesca, nata e cresciuta per sviluppare l’agricoltura di Berlino e dintorni, buttandosi, poi, a capofitto nella “coltivazione” del vento.

Da Su Giudeu a Pula

Tutto molto più redditizio. In Italia, per esempio, ti danno soldi per costruire le pale, incentivi miliardari per farle girare, e ti consentono, persino, di realizzarle davanti alle spiagge più belle del Mediterraneo. Il progetto che i tedeschi hanno depositato ha un impatto a dir poco devastante: 47 pale eoliche da 280 metri in mezzo al mare davanti a Capo Spartivento, la fiabesca spiaggia di Su Giudeu a Domus de Maria, la costellazione di arenili bianchi di Santa Margherita di Pula, proprio davanti al Forte Village, sino a Cala Verde nel comune di Pula. Alla faccia di ambiente, natura, paesaggio, orizzonte marittimo, navigazione di petroliere, natanti e traghetti. Una vera e propria città gallegiante di pale eoliche poste in un punto strategico, dal punto di vista tedesco. Su un lato, quello di Teulada, giocano a fare la guerra con bombe vere, terra-acqua, acqua-terra, terra-aria e aria terra, e dall’altra parte, quella di Sarroch, circolano petroliere come se ci fosse una regata d’altura.

Tedeschi in trasferta

L’unico spazio libero per incunearsi era proprio quello che i “crucchi” venuti da Colonia, Baviera inoltrata, hanno scelto per chiedere concessioni a mare e autorizzazioni per erigere pale eoliche in mezzo all’acqua. Non si sono posti alcun tipo di problema, anzi. Hanno, ovviamente, inserito nel progetto anche un capitolo sulle “importanti” ricadute economiche per il territorio, dalla manutenzione di quei grattacieli d’acciaio sino alla guardiania da terra. Un’arrampicata sul niente che lascerebbe esterrefatto chiunque avesse un minimo di buon senso e senso del ridicolo. La Regolo spa, la società al 100% della BayWa r.e., quella che ha messo la faccia nella presentazione del progetto, ha pensato a tutto, dall’approdo dei cavi, ovviamente in casa Saras, a Sarroch, sino al luogo dove assemblare le pale eoliche. Per quest’ultimo sito prevedono di utilizzare un’area di ben 85 ettari posizionata a ridosso della banchina in disuso dell’ormai defunto Porto Canale di Cagliari. Non è dato sapersi se l’area prescelta sia un’ubicazione casuale, ma dalle mappe allegate al progetto eolico si capisce che, praticamente, occupa l’intero spazio destinato ad una Zona Franca recintata solo per figura, ma che da anni è una landa desolata senza mezzo cantiere produttivo.

Altri 800.000 abitanti

Ultimo dettaglio di questo progetto: secondo i progettisti quelle 47 pale eoliche dovrebbero produrre energia per 800.000 abitanti. Sommati a tutti gli altri progetti offshore già presentati nelle coste sarde, si supera abbondantemente il fabbisogno di 25 milioni di abitanti. A Giorgio Rosa, l’ingegnere dell’Isola-Stato delle Rose, gli distrussero il sogno di libertà a colpi di esplosivo, qui, nell’Isola delle pale eoliche, invece, ai signori del vento si stendono tappetti rossi. Ogni straniero che sbarca nell’Isola, alla ricerca di paesaggi mozzafiato per affettare vento e mare, guadagnando una valanga di incentivi miliardari, è il benvenuto. Tanto pagano le bollette dei sardi e non solo.

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