Chi soffre di vertigini è meglio stia a casa. Quantomeno lasci perdere la provinciale 115, quella che per lunghi tratti costeggia il fiume più potente dell’Isola dei Nuraghi, il Flumendosa. Guai ad arrampicarsi in queste stradine scavate dal tempo e dall’incuria, più buchi che asfalto. Lo sguardo sul versante del corso d’acqua mozza le coronarie e sospende il fiato. I canyon americani sono passeggiate al cospetto di queste pareti verticali di roccia nera come la pece dove si dispiega il secondo fiume dell’Isola, dopo il Tirso.

Cinghiale del diavolo

Sono le gole profonde del “Cinghiale del Diavolo”, quelle narrate dal Capitano Emilio Lussu nei suoi racconti più mitologici sulle battute di caccia sul Monte Cardiga, tra il Flumendosa e il Sarcidano. Acque impetuose, 22 metri cubi al secondo alla foce, indomabili quando la forza del compluvio diventa “piena” irascibile e potente, capace di travolgere ogni ostacolo lungo il suo tragitto. Per comprendere sino in fondo l’anima profonda di questo corso d’acqua, il suo radicamento in questa terra di pastori e cacciatori, di natura intonsa e suggestiva, si devono scorgere gli appunti di caccia del giovane capitano dei rossomori. Il racconto è epico.

La conversione a cavallo

Il Flumendosa è in piena, racconta Lussu, «non si passa se non a cavallo, ottimo nuotatore…io mi presi il gusto di una simile prova nel 1913, a ventitre anni. …Convinsi a venire con me, in groppa, il maestro elementare del villaggio, il mio vecchio maestro, gran cacciatore, patrizio. Era un pagano. A casa sua aveva un busto di Giuliano l’Apostata. Mangiasanti e mangiapreti. Era stato il terrore della parrocchia. Con lui in groppa, affrontai il Flumendosa, con dieci metri di profondità d’acqua. Il cavallo era vigoroso, ma la corrente ancor di più, e questa ci spinse a valle. Il maestro fu colto da panico e si credette all’ultima ora. Si fece il segno della croce e invocò Gesù e Maria. Il cavallo, dopo grandi sforzi, riuscì a portarci all’altra sponda, duecento metri più a valle. Il maestro uscì da quell’incidente trasformato e l’indomani andò a Messa. A differenza di Paolo di Tarso, che passò al Cristianesimo cadendo da cavallo, il mio maestro si convertì rimanendovi in sella».

127 km di fiume

Un impeto d’acqua lungo centoventisette chilometri, dalle pendici di Punta La Marmora, 1215 metri sul livello del mare, sul Gennargentu, passando per Arzana, fermandosi per la prima volta nel Lago di Bau Muggeris, il lago del Flumendosa Alto, e seguire, poi, su quell’alveo a strapiombo passando per Aritzo, Nurri e Orroli, Esterzili, Armungia sino a Villaputzu. Non è un caso che il Regio decreto 498 del 1946 istituì l'Ente Autonomo del Flumendosa, l’EAF. L’obiettivo, già d’allora, era quello di regimentare il bacino idrografico del Medio e Basso Flumendosa, per irrigare i campi, fornire acqua potabile e produrre forza motrice, ovvero energia elettrica. L’impresa fu imponente. Dalle dighe sul Flumendosa e sul Mulargia, alla fine non sgorgava solo acqua per condotte, ma furono realizzate anche centrali idroelettriche capaci di generare energia motrice da immettere in rete.

Il fiume “elettrico”

Sul fiume con la portata più imponente dell’Isola si realizzarono tre stazioni di produzione elettrica: “Flumendosa Primo salto” con una potenzialità di 7,8 megawatt, “Flumendosa Secondo salto”, con 28,2 megawatt, sino al terzo salto sulla diga Sa Teula di 9,6 megawatt. Non tantissimo, 45 megawatt in tutto, ma sufficienti per capire che quell’acqua era importante anche sul piano energetico. Arrivare alle pendici del gigante rosso, quel Nuraghe Arrubiu che si staglia magnifico sull’orizzonte dell’altopiano di Orroli, significa metter mano a tornanti ripidi e ostacoli mobili continui, greggi e mandrie che qui comandano il traffico e non solo.

Dalla Senna ad Orroli

Eppure, in questa terra di pascoli arditi, la Cooperativa Unione Pastori di Nurri è una potenza economica, qualcuno venuto da lontano ha ben visto di pianificare un nuovo sbarco straniero in terra di Sardegna. Non sarà stato facile arrivarci oltrepassando la Senna e il Tirreno, di certo, però, i signori venuti da Parigi, non cercavano emozioni forti. Le imbeccate sugli affari energetici, però, a volte fanno fare lunghi viaggi. Imbeccate molto spesso più a favore di stranieri che degli interessi dell’Isola. È così che il colosso francese dell’energia, l’Électricité de France, per tutti l’Edf, ha ben visto, attraverso la sua controllata italiana, la Edison, di emulare lo spirito coloniale di spagnoli, norvegesi, svizzeri, danesi e persino americani, tutti protesi a conquistare vento, sole e adesso persino l’acqua di Sardegna pur di azionare quel mulinello perpetuo di incentivi e risorse pubbliche che ruotano intorno alle energie rinnovabili.

Blitz d’oltralpe

Senza dire niente a nessuno, senza bussare né alle porte dei Comuni, tantomeno, sino a prova contraria, a quelle ufficiali della Regione, i signori dell’energia venuti da Parigi hanno presentato un piano per la costruzione nei canyon del “Cinghiale del Diavolo” un «impianto di accumulo idroelettrico mediante pompaggio ad alta flessibilità». Documenti secretati con la dicitura “verifica amministrativa”. La data di protocollo è quella del 4 luglio scorso con un unico riferimento cartografico racchiuso nel nome già attribuito allo scippo dell’acqua: "Taccu sa Pruna". Non facile da individuare, nel mare magnum di toponimi che si inseguono nei tanti rivoli e affluenti del Flumendosa. Se chiedi al pastore–cantoniere che regola il traffico di greggi sul versante di Esterzili ti dà una semplice indicazione: non è da questa parte. E, infatti, per scovarlo devi percorrere un’altra decina di chilometri al buio, dove gli unici riferimenti sono gli ovili interconnessi con l’asfalto.

Mappa militare

L’unica mappa che ti aiuta è quella militare, quella che l’Istituto geografico ha meticolosamente compilato con ogni doviziosa ricostruzione di corsi d’acqua, anche i più minuti, e tutte le curve di livello indispensabili per tracciare le perpendicolari funzionali allo sfruttamento della risorsa idrica. “Taccu sa Pruna” guarda caso è mappata come stradello di campagna, dal bordo strada, la provinciale 115, sino alle rive della diga sul Flumendosa, praticamente l’invaso a monte, sbarramento di Nuraghe Arrubiu, oltre 299 milioni di metri cubi di capacità, sopra il lago Mulargia, altri 332 milioni di metri cubi. Una montagna d’acqua, una parte a monte e una valle.

Dalla Torre Eiffel a Esterzili

L’ideale per l’idroelettrico visto il “salto” d’acqua di centinaia di metri che si genera da un livello all’altro. I francesi, dunque, non hanno traguardato l’orizzonte dalla Torre Eiffel, per giungere fino ai tornanti di Esterzili. Certamente hanno avuto una “dritta-soffiata” importante, considerato che il sistema idroelettrico sardo, dopo la visione strategica dei primi anni del secolo scorso, si è adagiato sulla nazionalizzazione dell’energia, con l’Enel sempre protesa a fare e disfare in materia elettrica.

Il silenzio su Taccu sa Pruna

Il progetto marchiato Edison Edf, però, è avvolto da una cappa di silenzio imbarazzante visto che il Ministero della Transizione Ecologica da ormai 50 giorni oscura nel forziere del Pnrr quei piani di colonizzazione francese delle acque del Flumendosa destinate a realizzare «l’Impianto di Accumulo Idroelettrico mediante pompaggio ad alta flessibilità» sulle montagne tra Esterzili, Orroli, con il coinvolgimento dei territori di Escolca, Serri, Mandas, Gergei, Nurri, probabilmente per il posizionamento di altre pale eoliche e distese fotovoltaiche, come se non bastassero quelle che già deturpano e scippano i crinali di questo paesaggio esclusivo.

Sali e scendi

In pratica il “sali e scendi” dell’acqua, il carica e scarica, da un bacino a valle verso uno a monte e viceversa, ha l’obiettivo di generare due effetti: produrre energia quando serve, facendo scendere a valle l’acqua posizionata nell’invaso superiore, generando, dunque, forza motrice e conseguentemente energia, e utilizzare il surplus di energia, per esempio quella eolica e rinnovabile, per rilanciare a monte l’acqua giunta a valle in seguito al turbinamento, la discesa vorticosa della risorsa idrica per produrre energia. Tutto questo con macchinari che i francesi preannunciano di ultima generazione. A gestire il sistema regolatorio del “sali e scendi” dell’acqua dovrebbe essere Terna, il braccio di trasmissione elettrica dello Stato. La Regione, che ne avrebbe la titolarità sia per la competenza sulle risorse idriche che energetiche, ha messo a punto solo un piano per l’autoproduzione idroelettrica funzionale ad abbattere i costi energetici del sistema idrico multisettoriale. Ha previsto incarichi di progettazione per dieci impianti di mini-idroelettrico. Per il momento ci sono solo i soldi per i progetti. Tra gli impianti previsti, però, non c’è “Taccu sa Pruna”, quello lo vogliono fare i francesi. I signori dell’acqua nella terra del Cinghiale del Diavolo.

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