Non hanno mai perso il vizio, ma questa volta gli è andata male. Da sempre sono la longa manus dello Stato, quello italiano, in terra sarda. Un tempo erano società statali a tutti gli effetti, cento per cento capitale pubblico, poi, col passare dei decenni, sono diventate “parastatali” e, infine, si sono autoproclamate Società per Azioni, compagini di diritto privato con soldi e patrimonio pubblico. L’operazione, ovviamente, non l’hanno congegnata nei soli consigli di amministrazione. Lo Stato, quello dei Palazzi di Roma, del Ministero dell’Economia, un tempo del Tesoro, in realtà è sempre stato l’ispiratore dello scippo. Un modo come un altro per aggirare e raggirare l’art. 14 dello Statuto Autonomo della Speciale Regione Sardegna. Un caposaldo della negoziazione costituzionale tra lo Stato e l’istituto autonomistico sardo. L’assunto è talmente chiaro che solo un malintenzionato può stravolgerne o ignorarne significato e contenuto.

Norma antiscippo

Recita l’articolo 14 della Legge Costituzionale n.3 del 26 febbraio 1948, ovvero lo Statuto per la Sardegna: «La Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione». La sintesi è un dogma non interpretabile: nello stesso istante in cui cessa la funzione e l’uso statale di quel determinato immobile, dislocato sul territorio della Regione Sarda, senza fronzoli e perdite di tempo, lo stesso bene passa al patrimonio regionale. L’ultimo a provarci in ordine di tempo era stato l’ETI, l’Ente Tabacchi Italiano. Era il 2002. Con il lasciapassare e avallo dell’allora Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, mise in vendita, attraverso uno scoppiettante annuncio nella pubblicità legale del Corriere della Sera, nientemeno che la Manifatture Tabacchi di Cagliari, immobile di dimensioni imponenti nel cuore del capoluogo dell’Isola.

La lezione delle sigarette

Un’operazione tutta protesa a fare cassa, vendendo un bene dismesso da tempo, con le carte delle sigarette ancora sparse di qua e di là. Lo scontro con la Regione fu epico. I ricorsi e le denunce non diedero tregua al Tremonti padano. Le accuse erano chiare: appropriazione indebita, violazione costituzionale, tentativo di vendita di beni altrui. La Regione, quella di allora, non si limitò alla Corte Costituzionale, ma presentò ricorso al Tar Sardegna e persino una denuncia al Tribunale di Cagliari.

La prima sconfitta

In sequenza fu quest’ultimo a pronunciarsi per primo “sequestrando” quel bene, nominando il Presidente della Regione “custode” di quell’immenso immobile. Subito dopo, sia il Tar che la Corte Costituzionale, scolpirono sul granito un concetto chiaro e ineludibile: appena cessa la funzione statale quel bene, sia esso dello Stato che di un ente riconducibile al patrimonio pubblico, passa automaticamente al patrimonio regionale. Un’applicazione, dunque, “non statica” ma “dinamica” dell’art.14 dello Statuto sardo. Da quell’ultimo pronunciamento giudiziario son passati ben 22 anni.

Anas e ferrovie

Eppure, gli Enti di Stato, trasformati in Spa, negli anni non hanno mai perso il “vizietto”. Anzi, il tentato scippo è stato sistematicamente reiterato, dall’Anas che ha tentato di vendere le case cantoniere dismesse sparse qua e là per l’Isola sino all’ultimo blitz in ordine di tempo pianificato con la destrezza più spietata dal braccio infrastrutturale delle ferrovie di Stato, Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. Le pretese della società, di fatto statale, erano debordanti: con un ricorso senza precedenti chiedeva al Tribunale di Sassari di dichiarare di proprietà di RFI tutti gli immobili posizionati sul fronte dello scalo marittimo di Porto Torres, di far pagare al Comune Turritano un milione e 171 mila euro per l’occupazione di quei fabbricati e terreni, di dichiarare illegittima l’occupazione di quelle aree. Nel procedimento giudiziario, incidentalmente, viene invocata la discesa in campo della Regione sarda, proprio per via dell’articolo 14 dello Statuto. Un passaggio decisivo visto che ai legali di viale Trento non è restato altro da fare che calare l’asso statutario-costituzionale.

Beni della Sardegna

L’argomentazione è senza appello: «Voglia questo Tribunale accertare e dichiarare il diritto di proprietà della Regione Autonoma della Sardegna in relazione agli immobili siti in Porto Torres, in forza dell’art.14 dello Statuto speciale per la Sardegna». Con una sentenza puntuale e articolata, diciannove pagine di analisi e diritto, destinata a diventare una nuova pietra miliare nell’applicazione della norma statutaria sui beni immobili dello Stato dislocati sul territorio regionale sardo, il Giudice, Elisa Remonti, ha messo nero su bianco una decisione rilevantissima nell’applicazione dello Statuto sardo.

Epitaffio per lo Stato

Il disposto giudiziario appena pubblicato, relativo al procedimento conclusosi lo scorso otto dicembre, è un epitaffio ulteriore sulle “furberie” di Stato: «la dismissione e il conseguente trasferimento di proprietà devono essere fissati al sette dicembre del 2001, ossia la data della prima consegna, da intendersi quale momento in cui R.F.I. aveva unicamente manifestato la volontà di non utilizzare quei beni per l’esercizio delle proprie attività societarie». In pratica il Giudice non ha lasciato scampo: nel momento stesso in cui la società ferroviaria ha dismesso la «funzione» statale su quei beni gli stessi sono automaticamente passati nella piena proprietà del demanio regionale. L’udienza è tolta.

Capitolo ex carceri

Con questa sentenza esemplare, però, si riapre pesantemente e senza tentennamenti il capitolo “articolo 14” dello Statuto. Il richiamo alla Regione è senza appello: basta dormire sui beni immobili dello Stato che hanno cessato la loro funzione statale e originaria. In questo caso ci sono tre beni immobili di una straordinaria imponenza e importanza che da ormai dieci anni hanno cessato la loro originale funzione statale: le tre ex carceri di Buon Cammino a Cagliari, San Sebastiano a Sassari e Piazza Mannu a Oristano. Lo Stato è impegnato con mille sotterfugi a non cederli alla Regione, in viale Trento, nel frattempo, si continua a dormire. Lo Statuto sardo, sempre più un baluardo dimenticato.

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