Una “Damnatio memoriae” infinita, condanna senza fine della memoria. Non è bastata la devastazione della storia che li ha ridotti in mille pezzi, ora è il tempo della “condanna” moderna, quella che scorre silente dagli uffici di Roma alle aule dei Tribunali. Non c’è pace per i Giganti di Mont’e Prama. In questa terra “promessa” divelta da aratri e trattori, da ruspe di Stato e burocrazia, il sogno degli antichi fasti del passato è sempre più una chimera. Sulla storia di questa collina si sono dispiegati fiumi d’inchiostro, nonostante gli “avi di pietra” avessero scelto di affidare a simboli supremi e vestigia imponenti la testimonianza di un passato che ancor oggi fa paura ai cultori dei primati forestieri nell’antica terra di Sardegna.

Guerra perenne

Lotte intestine, ieri come oggi, tra civiltà prima e tra uffici dopo, violenza e negligenza su quel promontorio di storia e passato ingombrante. La storia di oggi, quella più recente, è segnata da protocolli e missive, proclami del niente, annunci di scavi imminenti, e tanta, infinita desolazione per un sito abbandonato come non mai. Colline schiaffeggiate dal vento e dalla negligenza, quella che da quindici anni si abbatte sul Sinis. È quasi una nuova storia, scritta questa volta su atti ufficiali, tracciata su rilievi geofisici indelebili e ignorati. Una contesa tra le nuove frontiere dell’archeologia “intelligente”, fatta di uomini illuminati e georadar, e la vessazione perenne per quell’area rimestata come un frullatore terrestre.

Giganti & georadar

Fermi ancora, senza vergogna, a quel modesto fazzoletto di terra segnato dalle lungimiranti intuizioni e scoperte di Antonio Taramelli, nel 1929, di Giovanni Lilliu ed Enrico Atzeni, 1974-1977, di Alessandro Bedini nel 1975 e Carlo Tronchetti nel 1977. Nemmeno un ettaro di scavi, un continuo apri e chiudi, come se ogni volta ci fosse l’influencer di turno pronto ad assumersi il merito di quello già scoperto nel passato, da altri ovviamente. Si rimesta di continuo senza aprire nemmeno per un attimo l’orizzonte su quell’immenso giacimento archeologico messo nero su bianco, tra ascisse e ordinate, da uno strumento tanto avversato quanto innovativo, il georadar. Su quelle colline disincantate lo hanno portato a “passeggio” un geofisico illuminato, il professor Gaetano Ranieri, e uno dei “padri” di quel sito, il professor Raimondo Zucca.

Orecchio terrestre

Lo hanno scandagliato in lungo e in largo per capire cosa ci potesse essere sotto quei terreni, sino ad allora fecondati da grano e foraggio. Un moderno “orecchio terrestre” attraverso rifrazioni geofisiche aveva rivelato ogni anomalia sotterranea. Il mistero era svelato: Mont’e Prama è un vero e proprio “mausoleo” dell’antica civiltà sarda. Le mappe della caccia al tesoro vengono blindate in cassaforte, dopo averle spiegate e illustrate alle Soprintendenze di Stato, con una missiva esplicita: tutte queste aree vanno immediatamente vincolate per tutelare l’estremo interesse archeologico racchiuso nel sottoterra. Qualche solerte funzionario di Stato non solo non ha preso sul serio quella scientifica e dimostrata “emergenza archeologica”, ma ha colto l’occasione per dileggiare pubblicamente quelle ricerche così innovative e puntuali. La guerra fu senza appello, sino alla cacciata da quel sito delle Università di Cagliari e Sassari. Il diktat fu solenne: qui comanda lo Stato. Alla faccia della maestosa lezione del Sardus Pater, Giovanni Lilliu, che, agli albori dell’archeologia sarda, pronunciò un “editto” senza remore: il patrimonio archeologico della Sardegna deve essere governato dai sardi, dalla Regione, dalle Università sarde. È in quel trapasso che si consuma uno dei più avvilenti misfatti sulla storia di quella collina. Con un’intuizione da preveggente, un signore dall’innata vocazione vitivinicola, compra per quattro soldi tutte le aree intorno a quei modesti diecimila metri quadri destinati da cinquant’anni sempre agli stessi scavi. L’acquisto non è incauto, ma può rivelarsi, con il preannunciato rinvenimento archeologico un vero affare, tra possibili plusvalenze e premi archeologici. Per rendere ancora più ridenti quei dolci scollinamenti verso “Mari Ermi”, il prode “vignaiolo” si candida a circondare quel sito archeologico con imponenti e floridi vitigni doc. Non ci vuole un pubblicitario per affibbiargli il marchio di origine storica: il vino dei Giganti. È accorto l’uomo che ha appena comprato la collina. Per evitare problemi archeologici, o per far lievitare il valore di quei terreni, l’undici maggio del 2016, scrive alla Soprintendenza: urgono chiarimenti in merito al completamento dei lavori agricoli già avviati sull’area di Mont’e Prama. La formulazione del quesito è, per la Soprintendenza, un’arma a doppio taglio: se affermano che là sotto ci sono altri Giganti, racchiusi nella loro città del passato, rischiano di avvallare le tesi del georadar, dall’altra riconoscerebbero al novello viticoltore un copioso diritto al premio archeologico. E, infatti, scelgono di negare l’evidenza. La risposta è lapidaria: «Con nota prot. n.10991 del 08.06.2016, la Soprintendenza Archeologia della Sardegna ha dichiarato l'inesistenza di problemi riguardanti la lavorazione superficiale del terreno e il completamento della piantumazione, mentre ha ricordato la necessità di seguire la procedura di autorizzazione paesaggistica per la realizzazione della recinzione». Dunque, per gli uffici archeologici di Stato, si può procedere a spron battuto con la piantumazione del megavigneto al cospetto dei Giganti. Contravvenendo a tutte le indicazioni del georadar, i funzionari di Stato scrivono: «Le occasionali ricognizioni di superficie non hanno evidenziato chiare emergenze archeologiche nei terreni privati posti a nord, a ovest e a sud del terreno della Confraternita del Rosario. Lo stesso quadro povero e incerto emerge dai risultati delle più sistematiche ricognizioni di superficie e delle indagini geofisiche eseguite nel 2014».

Ricercatori ignorati

Peccato che i ricercatori delle Università di Cagliari e Sassari si fossero sperticati per chiedere che l’intera area “indagata” venisse espropriata. I vigneti, rigogliosi e produttivi, nel frattempo, hanno fatto emergere ulteriori scoperte, a conferma di quanto segnalato dal georadar. È il 5 luglio del 2017 quando la Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna decide l’apposizione della «tutela archeologica diretta» su tutta l’area indicata dalla geofisica come uno “scrigno” di storia.

Terra da “champagne”

Nel 2018 la Regione, "ad abundantiam”, stanzia 500 mila euro per l’acquisizione di quelle aree, che da aree incolte, nel frattempo, sono diventate catastalmente vigneti, con il plusvalore produttivo e archeologico. Insomma, un vero e proprio affare da terra incolta a botti di champagne, con i Giganti sottoterra. Non ci vuole un esperto di estimo per capire che quei terreni che prima non valevano niente, ora, grazie a quei clamorosi errori di sottovalutazione, valgono “teoricamente” un patrimonio. Se la prendono con comodo gli uffici che devono procedere all’esproprio. Per arrivare all’avvio del procedimento bisogna attendere sino al 21 settembre 2023 con l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. Sono passati ben dieci anni dalle scoperte del georadar e quasi sette dal «vincolo diretto».

Al Tar per l’esproprio

La “damnatio memoriae”, però, non è finita. A cavallo tra il 2023 e il 2024 il “moderno” calvario dei Giganti approda nientemeno che al Tar Sardegna. Il proprietario dei vigneti ha impugnato i provvedimenti di esproprio. Si ignorano le pretese del “vignaiolo dei Giganti”, ma il 18 gennaio scorso i Giudici hanno respinto la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento di esproprio. La partita è aperta. Scrivono i Giudici: «le esigenze di tutela cautelare prospettate dal ricorrente (il proprietario delle vigne) potranno essere soddisfatte da una sollecita definizione del merito della causa». L’udienza di merito è già fissata per il 17 luglio prossimo. Una condanna della memoria, senza tempo.

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