«Secondo il giusto processo costituzionale ed europeo, il contraddittorio davanti al giudice, la critica e la confutazione - anche aspra - delle fonti di prova dell’accusa, rappresentano il migliore metodo di accertamento della verità. Al giudice - e soltanto al giudice - spetta governare in udienza queste procedure, ammettendo le domande rilevanti e non ammettendo quelle irrilevanti, superflue o non rispettose della libertà».

È un passaggio della nota diffusa dai Presidenti degli Ordini forensi della Sardegna, per esprimere di fatto solidarietà ad Antonella Cuccureddu, avvocata che difende Francesco Corsiglia, imputato a Tempio Pausania, assieme a Ciro Grillo e ad altri due giovani, per una presunta violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza, che sarebbe avvenuta a Porto Cervo nell’estate 2019.

Una presa di posizione seguita alle polemiche per come sarebbe stato condotto il controinterrogatorio della giovane da parte di Cuccureddu, con passaggi anche crudi ed espliciti, che – trapelati – hanno attirato sulla legale critiche, offese e addirittura minacce sui social network, tanto che la stessa avvocata ha annunciato un esposto con allegati con allegati centinaia di post dal contenuto intimidatorio e diffamatorio a lei indirizzati.

Nel pieno del caso, ecco il comunicato diramato dai Presidenti degli Ordini forensi della Sardegna, ovvero Lorenzo Soro (Presidente COA Nuoro), Gabriele Satta (Presidente COA Sassari), Enrico Meloni (Presidente COA Oristano), Matteo Pinna (Presidente COA Cagliari), Vito Cofano (Presidente COA Lanusei), Carlo Selis (Presidente COA Tempio Pausania).

«Senza volere in alcun modo entrare nel merito della vicenda processuale – spiegano i Presidenti - anche per il

rispetto dovuto all’accertamento giudiziario in corso e ai ruoli di tutti i soggetti in esso coinvolti, esprimiamo forte preoccupazione per l’idea della funzione difensiva ormai dominante nella rappresentazione pubblica e mediatica dei processi per reati di questo tipo».

«Ove necessario – sottolinea la nota - il processo per reati di particolare gravità si svolge a porte chiuse, sacrificando la pubblicità (e con essa la libertà di rappresentazione anche giornalistica della vicenda giudiziaria), proprio per garantire prioritariamente la massima tutela delle persone coinvolte e la serenità dell’accertamento». Ma, viene evidenziato, «in casi sempre più frequenti, il giudizio per reati di matrice sessuale viene concepito, invece che come il luogo dell’accertamento dei fatti secondo questo modello di civiltà, per un verso come luogo di mera ratifica delle accuse, per altro verso come occasione di conforto e di solidarietà a senso unico per le presunte vittime; qualunque approccio critico o dubbioso rispetto all’ipotesi accusatoria, anche se ammesso dal giudice che ha consentito le domande, viene interpretato e pubblicamente criticato – purtroppo, anche da avvocati, che dovrebbero avere ben chiari i principi sopra richiamati - come un’inaccettabile mancanza di rispetto della presunta vittima, e qualunque approccio che si proponga di evidenziare e di fare emergere lacune, contraddizioni ed illogicità dell’accusa viene considerato, per ciò solo, come una riprovevole forma di vittimizzazione secondaria».

«Ciò – concludono i Presidenti – non è degno di un paese civile, nel quale il processo penale rimane, innanzitutto, il luogo di protezione di un accusato, presunto innocente, dal rischio di errori giudiziari, e non il luogo in cui celebrare un rito di afflizione degli imputati e di conforto per le presunte vittime».

«Gli accusati e i loro difensori – infatti – devono avere il diritto, riconosciuto dalla Costituzione e dalla legge e disciplinato in udienza dal giudice, di condurre il controesame nel modo che ritengono più utile per la difesa; le presunte vittime devono avere il diritto di essere protette e tutelate nei luoghi e nelle forme a ciò destinati, senza la trasformazione del processo penale in improprio strumento di tutela e di contrasto ai fenomeni».

«È in gioco – la conclusione - un modello di civiltà la cui affermazione protegge i diritti di tutti, perché a tutti può capitare di essere colpiti da un’accusa la cui verità solo il processo può stabilire».

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