Il sigillo è notarile, la firma è quella di un notaio dal nome pesante. L’oggetto del contendere è un affare immobiliare destinato a stravolgere la porta d’ingresso della Capitale della Sardegna, scaraventando in un vortice di traffico viario e plurimi interessi la principale infrastruttura dell’Isola, l’aeroporto, per adesso pubblico e civile, di Cagliari-Elmas. Quando il notaio “in Cagliari” Alberto Floris, il più rigoroso della potente famiglia cagliaritana dei Floris, firma le osservazioni-esposto sul progetto destinato a radere al suolo gli antichi fabbricati dell’antica ferriera alle porte della città metropolitana sa perfettamente quel che fa. E se un uomo mite, perennemente proteso all’eterna mediazione, decide di scrivere un atto d’accusa così pesante e puntuale vuol dire che la partita è d’alto bordo.

Due pesi, due misure

In ballo ci sono affermazioni senza appello, a partire da quella che viene palesemente descritta come la politica dei due pesi e due misure. Sia chiaro, il notaio Floris non scrive per diletto, ma semmai per far rilevare che nella vecchia acciaieria di Elmas si sta consentendo quello che ad altri è stato vietato. Gli “altri”, citati nell’opposizione, sono i soci di Esetali srl, la società della famiglia Floris che deve sottoporre a VIA il proprio progetto di “Riqualificazione Ambientale e Urbanistica di un’area in zona Giardinetto e Piscina Matzeu” nel Comune di Assemini, a meno di 2 Km dal sito della Ex Fas. Il ragionamento è schietto: ci imponete la Valutazione d’Impatto Ambientale per un insediamento decisamente più contenuto, ci obbligate, giustamente, a calcolare il cumulo degli impatti di tutti i centri commerciali sorti o previsti in quell’area, mentre questo non avviene per l’operazione Fas.

Caos “effetti cumulativi”

E le osservazioni depositate all’Assessorato regionale dell’Ambiente rivelano nomi e cognomi, raccontano di “trattamenti” variegati, e accusano: «si segnala come negli elaborati in visione nel sito della Regione per il progetto in esame della ex Fas NON sia mai stato valutato il cumulo degli impatti con gli altri interventi analoghi già realizzati o in fase di sviluppo progettuale accertato, quali, a titolo di esempio: la realizzazione degli edifici in località Truncu Is Follas, in Comune di Assemini” (cosiddetto spostamento Bricoman), proposto dalla Società Gesafin Immobiliare Srl, il progetto “Piano di lottizzazione Thanit”, proposto dalle Società Spes srl, Mitosi srl, Aces srl, sottoposto a procedura di verifica conclusa con assoggettamento alla Via». In pratica, secondo le osservazioni del notaio, per la Fas non esisterebbe alcuna verifica dell’impatto cumulativo di quel mega centro commerciale da posizionare tra aeroporto, ingresso di Cagliari e un’area già sovraccarica di strutture commerciali che già da sole rendono invivibile e impraticabile quel tratto della statale centotrenta. Non un’accusa generica, ma pesante come un macigno, anche perché non occorre un ingegnere trasportista per comprendere quel che accadrà all’ingresso di Cagliari su quel versante, con pesantissime ripercussioni proprio sull’aeroporto di Cagliari.

Cellino “demolito”

Del resto, ritorna alla mente il fuoco incrociato che aveva “demolito” l’idea di Massimo Cellino di realizzare nelle aree limitrofe all’aeroporto, quelle di Santa Caterina, lo stadio del Cagliari. Ci furono strali e divieti, con l’accusa principale che il carico “antropico” di uno stadio non poteva sommarsi alla sicurezza e fruibilità di un aeroporto internazionale come quello cagliaritano. Glielo impedirono, senza molti preamboli, nonostante si trattasse di una partita ogni quindici giorni. Ora che si tratta di un flusso di decine di migliaia di persone, tutti giorni e a tutte le ore, l’Enac ha “sorprendentemente” dato il via libera, nonostante in conferenza di servizi il suo rappresentante avesse prima votato contro per poi rimangiarsi quel parere contrario, dando il via libera all’utilizzo dell’arteria di sicurezza dell’aeroporto per scaricare lì il flusso di traffico del centro commerciale.

Il “semaforo” dell’Enac

Un fatto che da solo meriterebbe ben più di un approfondimento visto che in ballo c’è la via di accesso delle ambulanze e dei mezzi di soccorso nel malaugurato caso di un incidente nel sedime aeroportuale. La “smania” di “accontentare” il centro commerciale è arrivata a congegnare, con una fantasia d’altri tempi, un semaforo da posizionare sul cavalcavia progettato per collegare l’aeroporto con il nuovo edificio, come se si trattasse di un normale incrocio di paese. Un quadro d’insieme che – secondo l’opposizione presentata agli uffici regionali – avrebbe dovuto imporre ben altra valutazione visto lo stravolgimento progettuale e il fatto che «allo stato attuale le opere in progetto non sono state ancora realizzate».Senza mezzi termini il documento trasmesso all’assessorato all’ambiente mette sotto accusa «importanti e corpose modifiche progettuali che impattano significativamente nell’ambiente, in primo luogo prevedendo una “messa in sicurezza permanentee non una reale “bonifica” del sito, oltre che una demolizione e ricostruzione dei fabbricati esistenti, in luogo della ristrutturazione e recupero degli stessi».

Capi d’accusa

I capi d’accusa sono espliciti. Tutti pesanti e senza appello. A partire dal paragrafo più delicato: “Rischi per la salute umana”. Per i signori della “Villa del Mas”, la società proprietaria del sito Fas, è tutto in regola, anzi di più: «l’intervento assume una particolare valenza positiva in relazione al fatto che è in parte un sito contaminato, che la messa in sicurezza permanente sul lotto B è stata già conclusa da tempo, mentre la parte contaminata del lotto A sarà anch’essa oggetto di messa in sicurezza permanente grazie all’attuazione del Piano Operativo di Bonifica recentemente approvato; in sintesi appare opportuno evidenziare che il progetto in esame rappresenta un indubbio vantaggio in termini di rischi per la salute umana che sarà meno esposta a rischi una volta completate le opere di messa in sicurezza anche sulla porzione del lotto A”. È su quel presunto “vantaggio” per la salute umana che non è per niente d’accordo l’esposto-opposizione. I rilievi, infatti, sono un vero e proprio allarme: «A tal proposito si rileva come NON siano presenti le risultanze dell’Analisi di rischio sanitario e ambientale c.d. “sito specifica” effettuata per i potenziali fruitori dell’area, sia lavoratori che clienti, secondo le vie principali di esposizione, ovvero suolo superficiale, suolo profondo, aria outdoor, aria indoor, acqua sotterranea e le modalità di esposizione, ovvero ingestione di acqua potabile, ingestione di suolo, contatto dermico, inalazione di vapori e particolato, anche in funzione del fatto che la sorgente primaria di contaminazione permarrà in situ».

Le scorie restano lì

L’affermazione è pesantissima: la «sorgente primaria di contaminazione permarrà in situ» ovvero tutti gli elementi inquinanti saranno interrati, ma resteranno per sempre lì. La conseguenza è netta: «Per tale ragione NON è possibile valutare l’impatto sul fattore ambientale c.d. “popolazione e salute umana».I rischi per l’ambiente sono capitolo decisivo delle osservazioni della società dei Floris: «In merito alla tipologia di “messa in sicurezza permanente” prevista in progetto, ovvero l’incapsulamento con “capping” dei rifiuti in situ, NON è valutabile l’impatto sulla salute umana in relazione al grado di mobilità e persistenza nelle varie matrici ambientali dei rifiuti previsto nel sito, anche in relazione del fatto che, non essendo prevista alcuna barriera idraulica, le acque di falda continueranno a circolare liberamente ed ad interagire permanentemente con la “matrice rifiuto”».

Falde acquifere a rischio

Accuse nemmeno tanto velate rispetto ad un potenziale inquinamento delle stesse falde acquifere visto che i “veleni” dell’ex acciaieria saranno “coperti” in superficie, ma resteranno senza protezione verso il sottosuolo, con tutti i rischi che ne conseguono. E le ragioni della scelta di lasciare quei “rifiuti interrati” le esplicitano i tecnici della società che firma l’atto d’accusa: «nel sito della Ex Fas, anziché procedere con l’auspicata “bonifica” del sito, con conseguente asportazione dei rifiuti interrati, si è optato per una soluzione senza dubbio più economica ossia la “messa in sicurezza permanente” e quindi NON asportando i rifiuti ma realizzando una barriera impermeabile sul suolo definita “capping”. La “messa in sicurezza permanente”, quindi, NON è la “bonifica” del sito e per tale ragione gli usi e la permanenza umana deve essere attentamente valutata».

L’esatto contrario

C’è di più: nella prima versione progettuale, quella approvata nel 2015, si era deciso di non demolire la struttura esistente proprio per «ottimizzare i processi di bonifica senza l’attivazione di nuovi percorsi o di nuovi potenziali agenti inquinanti in situ ed ex situ». Ora, invece, si sostiene l’esatto contrario. Il richiamo delle osservazioni, poi, mette sotto accusa la rilevante contraddizione tra il progetto approvato nel 2015 con il “restauro” di quei capannoni industriali del secolo scorso e la nuoca “strategia” di radere tutto al suolo.

Da “archeologia” a niente

Negli atti di approvazione del progetto del 2015 la Regione aveva avallato la decisione di non demolire quel “patrimonio industriale” per rispondere «all’indirizzo pianificatorio di mantenimento della testimonianza storica dei luoghi, generante un impatto di tipo paesaggistico di maggiore rilievo». Tutto dimenticato e omesso. Ora in quel sito resta solo una spianata, con tanti misteri su quei rifiuti industriali “dimenticati” la sotto e un aeroporto che rischia di finire nel caos, con vie di emergenza e soccorso trasformate in corsie commerciali. L’ennesimo capitolo della storia “moderna” della vecchia acciaieria. Con i dinieghi trasformati in “estrose” autorizzazioni.

(2.continua)

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