La dichiarazione è solenne: «La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna». Cioè ieri, quattro luglio 2024, anno dell’invasione eolica della Terra dei Nuraghi. Una norma destinata a passare alla storia come quella che avrà consentito la devastazione dell’Isola a colpi di pale eoliche e distese di silicio cinese. Mai una legge dell’assemblea sarda si era arenata sull’altare dell’inutilità già al suo primo giorno di vigenza.

Titoli di coda

Una disposizione i cui inutili e pericolosi effetti già scorrono come una sequenza filmica in una pellicola giunta anzitempo ai titoli di coda: ecco come faccendieri e multinazionali, lobby e potentati, devastano la Sardegna a colpi di ciclopiche pale eoliche e infinite distese di pannelli fotovoltaici. Non ci sarà nè tregua nè pace, sarà guerra a campo aperto e la Sardegna si presenta in trincea senza armi e senza munizioni.

Non blocca niente

Potranno impiantare tutto e ovunque, perché la legge appena varata non blocca niente, anzi, concede il tempo necessario per mettere a punto l’assalto, con tanto di autorizzazioni regionali e statali. È questo il primo devastante vulnus della norma appena varata: le disposizioni legislative non bloccano nessuna autorizzazione. L’iter autorizzativo, infatti, tanto quello di Cagliari, quanto quello di Roma, non si ferma, tanto che Assessorati e Ministeri porteranno avanti senza alcun ostacolo i procedimenti amministrativi, come se niente fosse.

Waterloo normativa

Gran parte della Waterloo legislativa si consuma al comma uno dell’articolo tre: «per un periodo non superiore ai 18 mesi i seguenti ambiti territoriali sono sottoposti a misure di salvaguardia comportanti il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili».È quel «divieto di realizzare» che rappresenta la più aberrante contraddizione sostanziale e lessicale dell’intera norma appena varata.

Finto divieto

Per vietare la realizzazione, bisogna, da che mondo è mondo, non concedere l’autorizzazione, perché vietare qualcosa che è stato già autorizzato, o che verrà autorizzato, vedasi una foresta di pale eoliche o una distesa di specchi di silicio, apre non solo contenziosi infiniti, ma mina alla radice il più elementare senso del diritto. In pratica Ministeri e assessorati devono procedere, come se niente fosse, a rilasciare le autorizzazioni per le “operazioni energetico-speculative” proprio perché non è prevista alcuna norma stringente, efficace e urgente che si sia presa la briga di vietare realmente l’assalto speculativo alla Sardegna. Del resto, la Regione non poteva in alcun modo intervenire sulle procedure autorizzative statali, visto che lo Stato se ne sarebbe infischiato delle disposizioni regionali in materia procedimentale.

La “via urbanistica”

L’unica strada era quella del «divieto urbanistico», l’ultimo baluardo di competenza primaria della Regione Sarda in grado di vietare, senza perdere tempo con norme transitorie e inutili, l’assalto all’Isola. La Regione ha scelto la strada più inefficace e inutile, quella di una disposizione “transitoria” che non blocca le autorizzazioni e lascia il campo aperto ad ogni genere di speculazione. A questo si aggiunge un aspetto già da oggi stringente: cosa significa «divieto di realizzare»? A chi si rivolge?

Chi deve bloccare?

Chi ha il dovere di bloccare e cosa? Tutti aspetti “volutamente” o “dilettantisticamente” ignorati dalle disposizioni. Qualcuno ha persino avanzato l’ipotesi che debbano essere i Sindaci a firmare ordinanze per fermare lavori già autorizzati e persino in fase esecutiva. Niente di tutto questo è disciplinato: quel «divieto di realizzare» è rimasto appeso al niente, visto che non esiste alcuna declaratoria in grado di dire quali «nuovi impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonte rinnovabili» devono essere bloccati e in che modo.

Le pale in porto

Per esempio: la valanga di pale eoliche da mesi nel porto di Oristano potranno essere installate nei nuovi impianti eolici di Villacidro, Domusnovas o Marrubiu? Oppure: i lavori di smantellamento impunemente in corso a ridosso del Limbara, tra Tempio e Calangianus, potranno proseguire?

Le muraglie cinesi

Che fine faranno quelle immense “muraglie cinesi” di “pacchi” di pannelli fotovoltaici pronti per devastare le colline di Ottana, l’Oasi del Cervo tra Capoterra e Uta, o la Gallura più verde? Che fine faranno tutti quei nuovi impianti per migliaia di ettari che in queste ore vedono ciclopici bulldozer impegnati a “scorticare” macchia mediterranea e terreni in pianura e collina? Sono progetti per i quali vige il «divieto di realizzare»? E chi avrà il dovere di fermare lo scempio? Ci andrà la Forestale, quella regionale, sotto l’egida del Presidente della Regione? Oppure l’intervento sarà riservato ai malcapitati vigili urbani?

Chi firmerà?

Ma soprattutto: chi sarà il temerario funzionario che si assumerà l’onere di ordinare il «divieto di realizzare» un intervento già autorizzato o che sarà autorizzato prossimamente? Tutto questo nella legge non è contemplato, come, invece, sarebbe dovuto essere elementare disciplinare, quanto meno per rendere un minimo credibile quel «divieto» inutile e inattuabile. Se questo è il “cuore” del provvedimento, il resto non lascia margini di speranza. A partire dalle aree e i progetti che risultano esclusi persino dal già “falcidiato” «divieto di realizzare».

Saccargia soccombe

Nella legge, per esempio, si da il via libera al «revamping», ovvero la sostituzione delle pale vecchie con le nuove, modificando non solo la potenza degli impianti, ma soprattutto prevedendo l’innalzamento verso il cielo di quegli “affettatori” di vento e incentivi. Basti solo un esempio: la legge dà il via libera alla devastazione di Saccargia, della Basilica e della valle dei nuraghi che la circonda. Le vecchie pale da 76 metri di altezza di proprietà della Erg, società petrolifera convertita sulla via degli incentivi milionari, saranno sostituite da aerogeneratori di oltre 200 metri d’altezza che segneranno per sempre la storia di quel proscenio. Uno schiaffo in faccia al Logudoro e alla Sardegna tutta che, proprio davanti a quel monumento esemplare, aveva radunato la sua prima “resistenza” all’invasione.

Comunità d’affari

Non sarà sfuggito nemmeno quel richiamo alla generica esclusione dal “divieto di realizzare” anche le comunità energetiche. Peccato che dietro quel richiamo legislativo, non ci sono solo i piccoli paesi virtuosi della Sardegna, ma, come spesso capita, si cerca di usare le comunità energetiche come paravento per “comunità d'affari” che si annidano nelle zone industriali, funzionali a consentire gli sfregi più devastanti al territorio.

I ben informati

Sapranno i ben informati, per esempio, che il 24 giugno di quest’anno, a legge già incardinata nei lavori del Consiglio Regionale, con il provvedimento ormai prossimo all’approvazione, si pianificavano le firme notarili per costituire la più grande comunità energetica «industriale» della Sardegna, quella a ridosso dell’Oasi del Cervo tra Uta, Assemini e Capoterra. Certamente una casualità temporale e normativa, di cui, però, sapevano in pochi addetti ai lavori. In chiusura dell’articolato legislativo, gli impegni futuri, quelli pianificati a 18 mesi, giusto il tempo per far autorizzare il maggior numero di progetti speculativi sul territorio sardo.

I due macigni

Nella legge si fa richiamo a due passaggi: la definizione delle aree idonee e l’aggiornamento del Piano Paesaggistico Regionale. Su tutti e due gli adempimenti pesano come macigni i tempi necessari per la predisposizione, le competenze e la sostanza degli eventuali provvedimenti. Le tempistiche sono il fattore più devastante: perdere altro tempo, nella fattispecie un altro anno e mezzo, significa, infatti, consentire l’approvazione di gran parte dei progetti già presentati, visto che attendono da anni il via libera delle commissioni ministeriali per la valutazione d’impatto ambientale.

Progetti sull’orlo

Quasi tutti quelli presentati in ambito statale, infatti, sono ormai sull’orlo del varo, con tanto di decisione finale in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri che ha già sul suo tavolo decine di progetti riguardanti la Sardegna. Sulle aree idonee incombe il più grande “imbroglio” lessicale e sostanziale che lo Stato ha imposto, e la Regione ha supinamente accettato, relativo all’individuazione di territori da devastare con corsia preferenziale. Aver vincolato solo “transitoriamente” aree di grande pregio significa che non meritavano, secondo la Giunta, una tutela definitiva e acclarata, lasciando aperta la porta alla devastazione incombente.

Nelle mani dello Stato

Infine, il Piano paesaggistico: nella prima stesura della norma avevano previsto «aggiornamento, adeguamento e completamento», ora nella disposizione approvata si parla solo di “aggiornamento”. Un ridimensionamento pesante delle iniziali “ambizioni” pianificatorie, ma anche questo passaggio non esclude le mani dello Stato sul governo del territorio sardo. Se hanno letto le sentenze della Corte Costituzionale, sanno che dovranno farlo obbligatoriamente in copianificazione con Roma.

Supremazia eolica

Peccato, però, che lo Stato abbia già imposto per legge la supremazia delle “rinnovabili” sul paesaggio e sui beni culturali. Dunque, tempo perso. L’unico spiraglio possibile, quello di un «divieto urbanistico», fondato sulla norma primaria dello Statuto sardo, è rimasto inascoltato. Hanno prevalso altre logiche e altri interessi. L’invasione della Terra dei Nuraghi, per adesso, ha campo libero.

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