Non era mai capitato prima. Dal 1956 ad oggi mai nessuno aveva osato tanto. Una vera e propria zona franca, senza leggi e senza controlli, senza regole, dove tutto era consentito. Un abuso perenne sin da quando i furgoni della Nato trascinarono via di peso gli ultimi abitanti della Piana di Teulada, spazzando via ogni segno di vita in quella terra strappata all’agricoltura e alla pastorizia. Ne sono passate di bombe e missili, di carri armati e mortai, su quelle rupestri pendenze tra Cala Zafferano e Sa Portedda, tra Porto Scudo e Nuraghe Maxinas.

Strappati a caro prezzo

Un ridente promontorio sventrato giorno dopo giorno, settemila ettari di natura ridotti ad una landa desolata per cingolati trasformati in devastatori senza confini, capaci di radere al suolo civiltà nuragica e patrimonio ambientale, come se la Sardegna fosse terra da devastare senza un perché. Certo, lo Stato pagò e non poco per comprare quei campi tra Teulada e S. Anna Arresi. Si racconta che a fronte di un valore di mercato di diecimila lire a ettaro, gli uomini di Stato spediti nell’Isola a comprare tutto e tutti, pagarono anche duecentomila lire. Volevano ad ogni costo quel pezzo di Sardegna, per esercitarsi alla guerra, raccontavano, nonostante nella Costituzione ci fosse scritto l’esatto contrario.

Consumatore di armi

Negli anni, quel poligono interforze, cogestito da Nato e company, è diventato un vero e proprio consumatore di armi, di mezzi blindati e da guerra, bombe da mille libbre e missili carichi di ogni devastazione. Un arsenale a ciclo continuo da distruggere, non tanto per esercitarsi alla guerra, quanto per sovvenzionare a caro prezzo la famelica industria delle armi. Lo dimostra il fatto che da decenni si continua a devastare il territorio con mezzi concettualmente vetusti, con tecniche militari da “Cavalcata delle Valchirie” o “sbarco in Normandia”, giusto per non dismettere le costose produzioni belliche, italiane e non solo.

Giudici coraggiosi

Sessantasette anni dopo quello scippo armato, consumato a suon di soldi e con la cacciata forzosa dei contadini più riottosi, la storia di Teulada scrive oggi un capitolo insperato, quasi impossibile, che sembrava destinato a naufragare nell’antico adagio secondo il quale il Ministero della Difesa ha la licenza di fare quel che vuole, senza dover rispondere a leggi dello Stato o peggio ignorando i valori costituzionali della Giustizia e del rispetto dell’Ambiente. C’è voluto un Giudice sardo, Giuseppe Pintori, Presidente di Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari e dell'Udienza Preliminare a ribaltare una storia che appariva già scritta. Rinviando a Giudizio cinque Capi di Stato Maggiore della Difesa e dell’Esercito, con una decisione esemplare, non solo ha ribaltato tutti i pronostici della vigilia, ma ha dato la conferma che il Tribunale di Cagliari non nutre alcun timore reverenziale verso i potenti Generali di Roma.

Reato penale: disastro

E del resto era stato un altro magistrato sardo, Maria Alessandra Tedde, Giudice per le indagini preliminari, ad agosto del 2021, a chiedere al Pubblico Ministero Emanuele Secci di formulare a carico dei Generali l’imputazione più pesante della storia militare italiana: Disastro “ambientale”, quello dell’art. 434 del Codice Penale. Una “ratio legis” esplicita, una norma che pone sotto giudizio «la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone, per la potenzialità ed attitudine delle condotte aggressive a proiettare i propri effetti al di là degli individui minacciati o colpiti, protetti non come tali, ma come appartenenti alla comunità». Una disposizione che sembra scritta per il caso Teulada.

Devastazione misurabile

Un reato tanto pesante quanto “misurabile”: in ettari devastati, in promontori mozzati da esplosioni ciclopiche, da radiazioni nucleari sparse nei terreni, in bombe e missili disseminati ovunque, sino ai nuraghi mozzati e bombardati. Il Pubblico Ministero Emanuele Secci ha indagato per anni, ha raccolto una montagna di prove capaci di inchiodare ministri e vertici militari, consegnando ai Giudici per le indagini preliminari un report che non poteva finire negli scaffali delle pratiche senza imputati. Il “gioco” perenne messo in campo dal Ministero della Difesa è sempre stato lo stesso, dalle Commissioni d’inchiesta parlamentari sino alle aule giudiziarie: confondere le responsabilità, polverizzarle sino a renderle impercettibili e non indagabili.

“Gioco” fumoso

Il “giocattolo” delle impercettibili responsabilità, però, è inciampato nei gradini di Piazza Repubblica, Tribunale di Cagliari. I vertici della Difesa di quegli anni di devastazione ora sono tutti a processo. Con un gergo d’altri tempi sono «finiti alla sbarra» Generali potentissimi, dagli uomini-stelletta passati senza colpo ferire dai vertici militari a quelli dell’industria bellica, sino a graduati diventati sottosegretari della Difesa con il centrosinistra di Renzi e finiti ora a fare i consulenti dell’attuale ministro del governo di centrodestra della Meloni. Il ragionamento dei Giudici è stato limpido e lineare, sintetizzabile con un semplice quesito: chi, se non loro?

Chi se non loro

Chi, se non i vertici militari. Del resto, come potevano non sapere cosa succedeva dentro quel poligono, ritenuto da loro stessi il cuore pulsante delle loro attività bellico-addestrative? Potevano non sapere quanto, come e cosa sparavano in quell’area? Potevano ignorare che si trattava di un’area sottoposta a stringenti vincoli ambientali, con la massima tutela di habitat protetti a livello comunitario? Secondo il Giudice Maria Alessandra Tedde e il Presidente della Prima sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari e dell'Udienza Preliminare Giuseppe Pintori non potevano non sapere. Un dato, però, è certo: il processo è un passaggio decisivo per fare chiarezza, per individuare i responsabili del disastro. Su un elemento, infatti, non potranno esserci dubbi: il disastro non solo è stato certificato da consulenti e periti, ma, soprattutto, è ancora lì, sotto gli occhi di tutti.

Prova radioattiva

Quale maggior disastro ambientale si poteva registrare, con gravissimi rischi per militari e civili, se non il ritrovamento di zone radioattive all’interno del Poligono? Tutti elementi inoppugnabili, documentati e certificati. Che dire di quegli isolotti demoliti a colpi di bombe e missili, con quei tiri “contro costa” tanto cari ai report militari? I Generali potranno certamente difendersi dalle accuse, ma non potranno aggrapparsi all’antica piaga del “non sapevo” o “non dipendeva da me”. Una delle poche regole consolidate all’interno di una seria organizzazione militare è proprio la «catena di comando», da lì non si sfugge.

Potentissimo Graziano

E non potrà sfuggire alla domanda il più potente di tutti, quel Generale Claudio Graziano, chiamato a rispondere di “disastro innominato” nel proscenio di Teulada, per essere stato dal 2011 al 2015 Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, ovvero uno che, secondo quanto scrive il Giudice, era in grado di decidere. È lui che copre l’arco temporale più ampio relativo ai capi d’imputazione. Un uomo chiave nominato, subito dopo le sue dimissioni dalla Difesa, potentissimo Presidente del Consiglio di amministrazione della più grande fabbrica di navi e sommergibili da guerra, la Fincantieri.

Dalla Difesa alle armi

Un passaggio, dalla Difesa all’industria bellica, avvenuto quando ancora non era deciso il suo rinvio a giudizio. Chi lo ha designato, e lui stesso, probabilmente, faceva affidamento sulla consolidata “impunità” di quanto avviene dentro i poligoni militari della Sardegna. Questa volta, però, non hanno fatto i conti con Giuseppe Pintori, il Giudice che lo ha rinviato a giudizio, insieme ad altri quattro graduati. Tra loro anche Domenico Rossi, già sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, consigliere dell’attuale Ministro della Difesa Guido Crosetto nonostante un passato da sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni e una disastrosa partecipazione alle primarie del Pd per il Sindaco di Roma, appena mille voti. Ne risponderanno, Graziano e Rossi, insieme a Danilo Errico, Giuseppe Vallotto e Sandro Sandroni, tutte stellette di rango. Il processo Teulada ora, però, apre scenari senza precedenti per le “schiavitù” militari. Ma questo è un altro capitolo.

(1.continua)

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