"Non so cosa è successo quella notte e per questo non accuso nessuno. Una cosa però la chiedo: giustizia. Si faccia chiarezza, il prima possibile".

Dice di non cercare vendetta, Luca Mandas. Ma solo la verità. Il giorno dopo il funerale della mamma Joelle Demontis, la 58enne uccisa la notte di venerdì forse al culmine di una lite in un appartamento di via dei Donoratico, accetta di parlare a patto che non gli si chieda delle indagini. "Anche perché - spiega - ne so poco o nulla". Trentaquattro anni, più di dieci dei quali trascorsi nel centro Caritas di viale Sant'Ignazio, ha letto sui giornali dell'arresto dei due sospettati del delitto, Giorgio Reciso e Marta Dessì, anche loro ex ospiti della Caritas che dividevano l'appartamento con la vittima. "Li conosco, certo. Soprattutto lei, ma non mi va di parlarne". A lui adesso interessa soprattutto ricordare la madre, con cui ha condiviso la fatica di un'esistenza spesso ai margini, "perché voglio che si sappia che era una splendida persona che nella vita ha soltanto avuto tanta sfortuna".

Quando l'ha vista l'ultima volta?

"A giugno, quando è andata via dal centro Caritas dove io alloggio ancora oggi. L'ho vista salire su un taxi e poi non ho saputo più niente di lei. Non sapevo neanche dove fosse. Io poi non ho il telefonino. Ma non ero preoccupato, se l'è sempre cavata da sola".

I rapporti tra voi com'erano?

"Buoni, ma ognuno faceva la sua vita. Ci incontravamo sempre alla Caritas. L'ultima volta che ci ho parlato è qualche giorno prima che se ne andasse. Ci siamo incontrati alla macchinetta del caffè, ho scherzato con lei e l'ho fatta ridere".

Ha idea del perché dopo tanti anni è andata via dalla Caritas?

"Questo non lo so. A me non ha detto niente prima di salire su quel taxi. Però negli ultimi tempi la vedevo strana, non sapevo cosa le stesse succedendo, ma avevo i miei problemi e non ho approfondito".

Come ha saputo quello che era successo?

"Sabato è venuto mio padre alla Caritas per avvisarmi, però era distrutto e non è neanche riuscito a parlare. Me l'ha detto un'amica. 'Tua mamma non c'è più' sono state le sue parole. Parole che non dimenticherò mai".

Sa se sua madre aveva mai avuto problemi con qualcuno, ad esempio con le persone accusate?

"Io so solo che litigare con mia madre era impossibile. Lei era solare, una donna generosa che aiutava tutti nel momento del bisogno. Dava consigli a chiunque potessero servire, era una persona tranquilla e sempre disponibile, non a caso alla Caritas la chiamavano tutti mamma".

Sua madre non ha avuto una vita facile, ha voglia di raccontarci qualcosa di lei?

"Era nata in Tunisia ma a sei anni d'età era tornata a Cagliari con la madre e il padre, che era sardo. I ricordi più belli che ho di lei sono legati alla mia infanzia. Mi chiamava Luchino e mentre giocavo lei cucinava e sbrigava le faccende domestiche. Mi portava al mare o al parco, sono stati momenti di grande serenità e felicità per tutta la famiglia".

Poi cosa è successo?

"Tuttò è cambiato quando i miei genitori si sono separati. Io avevo 12 anni e sono andato a vivere con lei dalla mia nonna materna, mentre mia sorella minore è rimasta con mio padre. Ma le cose sono precipitate dopo la morte di mia nonna nel 2002, siamo dovuti andare via dalla casa e siamo finiti alla Caritas. A quel punto sono iniziati i veri problemi. Però il mio rammarico più grande è che non abbia potuto coronare il suo sogno, che era quello di trasferirsi in Francia dove aveva dei parenti".

Come sono stati questi giorni?

"Molto duri, perdere una madre e per giunta in quel modo è terribile. Però ho avuto anche tanta solidarietà e voglio ringraziare tutti quelli che mi stanno vicino in questo momento, in particolare il personale Caritas, gli amici e la mia famiglia. Al funerale non mi aspettavo tutta quella gente, vuol dire che tante persone le volevano bene. Di certo io non la dimenticherò mai e resterà sempre nel mio cuore".

Cosa si aspetta dall'inchiesta?

"Che si scopra chi l'ha uccisa così brutalmente, nient'altro. Chiedo giustizia".

Massimo Ledda

© Riproduzione riservata