Negli scaffali in legno e alluminio, decine di pezze di colori e tessuti diversi.

Otto macchine da cucire su altrettanti piani di lavoro e abiti con il filo bianco pronti per le rifiniture e la consegna ai clienti.

Sul grande tavolo spilli e le tavolette quadrate di gesso, quelle che non si vedono più nei negozi di abbigliamento ché le misure per accorciare giacche e pantaloni le segnano con due punti o una spilla da balia.

Negli spazi liberi delle pareti, vecchie foto e ritagli di giornale con lui protagonista o semplicemente citato in un articolo per un riconoscimento o un premio ricevuto da qualche parte.

È l'atelier di Vittorio D'Angelo, in via Azuni al numero 20, il retrobottega del locale il cui ingresso è stato trasformato, ormai da un pezzo, in un negozio. Lui, 79 anni, origini familiari napoletane ma cagliaritano doc ("Stampacino", puntualizza con un moto d'orgoglio), è il sarto storico del quartiere.

Ha finito giusto le elementari per poi andare dritto dritto dalla sartina di via Santa Restituta. "Dovevo pur imparare un mestiere - dice - e quello mi sembrava il più adatto".

I suoi genitori erano arrivati i Sardegna pochi anni prima della seconda guerra mondiale. "Erano magliari, cioè vendevano stoffe, corredi e quanto occorreva per la casa. Lo facevano con il porta a porta trascinandosi dietro il fangotto, un sacco ricavato da un lenzuolo che conteneva il campionario della merce. Ho respirato il profumo dei tessuti sin da bambino, probabilmente non avrei potuto fare altro".

Ma i giovani non hanno la pazienza per imparare il mestiere e il futuro non è roseo
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