La batosta nelle urne dell'Umbria era già prevista da giorni, in tutti i sondaggi riservati, ma è stata ugualmente terrificante per la maggioranza. La prima prova del governo giallorosso e della sua nuova alleanza si è chiusa con una sconfitta, venti punti di distacco. Palla al centro.

Va detto, a onor del vero, che la disfatta non si è consumata domenica, in una sola giornata elettorale. La vittoria di Matteo Salvini è figlia di una impressionante campagna stile caterpillar sul territorio, comune per comune, piazza per piazza. Ma è anche frutto di cinque anni di battaglie preparatorie che hanno preceduto questo voto. Il vecchio Pd umbro era malato. Scandali, deriva clientelistica, distacco dalla società, fino alla ciliegina sulla torta: la catastrofe dei concorsi aggiustati - quelli per i disabili! - con le intercettazioni in cui i politici locali discutevano di tracce e di posti da lottizzare. Tuttavia il vecchio centrosinistra aveva iniziato a suicidarsi ancora prima, quando nel corso di una sola legislatura, tutte le città importanti della regione avevano iniziato a cadere come birilli, ad una ad una, in mano al centrodestra. Il modello amministrativo appenninico del Pd non esisteva più da anni. La rabbia aveva iniziato a montare, a partire dalla capitale della siderurgia regionale - Terni - un tempo rossissima, oggi tutta verde. Da questo scenario si è avviata la lunga marcia realizzata dalla Lega per riscattarsi della disastrosa sconfitta politica di questa estate. A cui si è aggiunta quella di Giorgia Meloni, che - con i suoi Fratelli d'Italia - sorpassa sia Forza Italia che il M5s.

Ma non bisogna farsi ingannare dal clamore: nel lungo conflitto che durerà sino alla fine della legislatura questa è solo una battaglia, e non la più importante.

Ieri il governo era tutto mobilitato a Roma, alla nuvola di Fucsas, per la grande kermesse di Poste sui piccoli comuni. Una cerimonia in cui le fasce tricolori di 4000 sindaci erano unite dal filo giallo della azienda più capillare del Paese. «Avremmo potuto fare il consiglio dei ministri qui», ha scherzato il ministro per l'Innovazione, Paola Pisano. Aveva ragione, c'erano tutti, a partire da Conte: e il lungo intervento del ministro Roberto Gualtieri, pieno di numeri e di passione, sembrava una risposta al voto dei cittadini umbri. La sfida che può cambiare tutto nella guerra delle regioni, la più importante anche sul piano simbolico, è quella dell'Emilia Romagna. E mentre nel Pd e nel M5s ieri esplodevano i malumori di chi in entrambi i partiti era contrario all'accordo (ma non lo diceva) la grande domanda è: saranno ancora alleati nella prossima sfida le due principali forze della coalizione di governo? È la domanda a cui in queste ore nemmeno Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti sono in grado di dare una risposta. Il Pd in Umbria aveva cambiato tutto, ma non ha fatto in tempo a mettere le nuove radici. E anche il M5s sta cambiando pelle - dalla proposta alla governabilità - senza avere ancora chiaro il profilo della nuova identità che sostituisce il partito del "vaffa".

Non era l'unico paradosso. Domenica il partito degli "accusati" delle inchieste sugli scandali assunzioni era coalizzato con il partito degli "accusatori": entrambi sono stati colti dal voto in mezzo al guado di un rinnovamento difficile. Il governo giallorosso è ancora così indietro nella costruzione della nuova alleanza che la prima foto in cui i leader erano per la prima volta uniti è arrivata a soli due giorni dal voto.

Resta il fatto che Salvini e la Meloni hanno vinto molto più di una partita. All'Italia arrabbiata e scossa dalla crisi hanno proposto un modello. Hanno indicato un sogno. Questo progetto si chiama lotta all'immigrazione, si chiama dazi, si chiama Flat Tax, si chiama sovranismo. Può non piacere. Ma se i giallorossi non vogliono perdere questa guerra devono trovare - alla stessa domanda di senso - una loro risposta forte. Devono indicare una prospettiva. Devono costruire una nuova narrazione. Oppure saranno travolti, come in Umbria. Perché non bastano i conti in ordine per conquistare i cuori di un Paese che non riesce a uscire dalla crisi.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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