Identità. Questa parola quando affiora sulle labbra dei politici segnala un problema: non sanno come definire quello che gli accade intorno e se ne ritagliano una che vuol dire tutto e niente. Improvvisamente, nella campagna per il voto regionale, la parola si è materializzata con la rivolta dei pastori per il prezzo del latte.

Eccola, l'identità, fatta di carne, di sudore, di occhi, di braccia, di labbra, di gambe, di parole, di lingua, di accenti, di toni, di suoni, di uomini, di donne, di ragazzi, di bambini, di famiglie. Da decenni non si vedeva un così grande e potente veicolo d'immaginario: il pastore sardo che esce dal suo immenso e stellato silenzio e con un urlo strozzato in gola rivendica la sua presenza nel mondo, nel suo mondo, nella sua terra, la Sardegna.

A una settimana dal voto, questo è l'unico vero fatto politico che abbiamo di fronte, il prodotto reale e non virtuale della nostra contemporaneità. Un'intera isola che diventa quella massa capace di tutto descritta magnificamente da Elias Canetti nel suo capolavoro premiato con il Nobel, "Massa e potere". In un lampo, abbiamo visto le strade diventare liquide e candide, le piazze riempirsi di sardi solidali e determinati, le aziende chiudere e dire "ci siamo anche noi con voi" sulle pagine dell'Unione Sarda.

Questo sprigionarsi di forze ci proietta nel campo del mito, delle radici, dell'identità. Nella storia moderna e contemporanea pochi fatti possono essere paragonati a questo per la forza d'impatto e la capacità di essere un racconto collettivo.

Ne cito un paio a memoria: l'eccidio nelle miniere di Buggerru, anno 1904, che sfociò nel primo sciopero generale in Italia; la delusione cocente e disperata dei reduci della Brigata Sassari e la nascita nel 1921 del Partito sardo d'Azione con Camillo Bellieni e Emilio Lussu; la storia eroica di Radio Sardegna - a Bortigali - che il 7 maggio del 1945 annuncia prima di Radio Londra la fine della Seconda guerra mondiale, la prima radio libera in Italia dopo vent'anni di fascismo; il riordino dei fondi rustici negli anni Settanta; il Cagliari campione d'Italia di Gigi Riva e Manlio Scopigno; la rivolta di Pratobello, dove guarda caso, ancora una volta, furono protagonisti i pastori.

Dagli anni Ottanta in poi, possiamo dire che non c'è stato niente di così forte e trascinante come quello che stiamo vedendo in Sardegna in questi giorni. Osservate bene e meditate tutti, abbiamo la fortuna di vivere un pezzo di storia.

L'altro elemento che emerge in questa storia è la sorpresa. Tra i "continentali" quello che sta accadendo viene accolto con un sentimento di stupore (e ammirazione). Lo stesso Matteo Salvini, uno che ha fiuto politico e anche quando non ci arriva ci mette il cappello, non aveva capito fino in fondo cosa aveva davanti qualche giorno fa nell'incontro al Viminale. Non era una categoria come tante: era la Sardegna intera con le sue radici, la sua identità.

Questo elemento di sorpresa è piombato sulla campagna elettorale, le ha dato un senso che prima non aveva, è diventato l'inatteso che ha un significato. Chi ha ridotto la questione al prezzo del latte non ha compreso il significato della rivolta, qui compare in scena un'altra parola usata spesso a sproposito: popolo. Qui c'è un popolo in movimento. Identità e popolo trovano nella protesta dei pastori il punto di congiunzione, l'anello che mancava. A queste due parole se ne aggiunge una terza: riscatto. Un sentimento che alberga nell'anima di chi sente di esser stato ingiustamente messo ai margini della Storia. Non rancore, ma riscatto. Tutto questo fa della protesta dei pastori sardi un unicum, un caso fuori dal comune, un evento eccezionale.

Tra una settimana i sardi saranno chiamati al voto, un appuntamento importantissimo, arriva nel momento in cui a Roma si studia l'intesa per una nuova autonomia delle Regioni del Nord, un rapporto finanziario diverso, la questione settentrionale e quella meridionale che s'intrecciano. La Sardegna in questa partita ha una posizione dettata dalla geografia e dalla storia: in mezzo al Mediterraneo, autonoma nelle parole ma dipendente dallo Stato centrale nei fatti.

Questo è il momento per rifare i conti con la storia e usare la geografia come una carta favorevole. È il momento giusto per fare una nuova autonomia. La legislatura può e deve partire su questo punto, perché nella mente degli elettori ci saranno le immagini del latte versato, le parole dette e quelle che mancano. Non è una questione di destra o di sinistra, di sopra o di sotto, ma di identità, popolo e riscatto.

Mario Sechi

(Giornalista, direttore di "List")
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