Il Parlamento ha appena approvato, nella cosiddetta "legge spazzacorrotti", anche la norma che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma, per la prima volta nella storia repubblicana, ha scatenato una netta opposizione da parte di tutti gli operatori del diritto, magistrati, avvocati e docenti universitari. Solo l’ex pm di Mani pulite, Davigo, si è schierato a favore del blocco della prescrizione.

Ma sia il Consiglio Superiore della Magistratura, sia l’Unione Camere penali italiane, sia ben 110 professori di diritto e procedura penale, hanno redatto tre pareri decisamente contrari allo stop della prescrizione, in cui espongono i motivi per cui la nuova legge è contraria alla Costituzione.

Tali pareri sono stati inviati al presidente della Repubblica con richiesta di non promulgare la legge e di rinviare il testo della legge alle Camere con messaggio motivato, sollecitando una nuova deliberazione, così come prescrive l’art. 74 della Costituzione, e solo se le Camere approveranno nuovamente la legge, questa dovrà essere promulgata.

È un'evenienza, questa, che si è verificata soltanto poche volte nella storia repubblicana. Ora la decisione spetta al Quirinale, che avrà un mese di tempo per decidere.

In effetti, la nuova disposizione che esclude la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna, comporta che, dopo il primo giudizio (che già interviene a distanza di molti anni dal fatto), l’imputato diventi un eterno giudicabile, cioè il processo può durare all’infinito.

Tale "ergastolo processuale" (perché di questo in realtà verrebbe a trattarsi con la contestata disposizione) si pone in spregio alla prescrizione costituzionale che impone una "ragionevole durata" dei processi, come ci raccomanda anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, con pregiudizio sia per la presunzione di innocenza dell’imputato, sia per il diritto alla prova, che tanto per l’accusa che per la difesa, sarà impossibile a distanza di tanti anni dal fatto; senza dimenticare inoltre che tale allungamento comporterà anche un aumento dei risarcimenti che lo Stato dovrà erogare per l’eccessiva durata del processo.

Tra l’altro, la nuova disposizione entrerebbe in vigore soltanto nel 2020, insieme alla futura riforma complessiva del processo penale.

Ma allora, se non entra in vigore subito, perché approvarla ora, senza aspettare la complessiva riforma del processo penale e inserirla organicamente nelle future disposizioni? Semplicemente, perché è una "norma bandiera", che non serve a nulla ma manda un segnale all’elettorato sulle intenzioni del Governo in materia di giustizia.

Ma la giustizia è una posta troppo alta per essere sacrificata agli idoli della politica.

Leonardo Filippi

(Avvocato e docente all'Università di Cagliari)
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