A livello internazionale, è opinione diffusa che l’Italia stia diventando un fattore di rischio sistemico molto pericoloso. La recente approvazione del Def (Documento di economia e finanza), che contiene molte incognite sulla copertura delle nuove spese annunciate per la prossima legge di bilancio, tra cui la flat tax (tassa piatta), ha nuovamente fatto salire la tensione con la Commissione Ue, costringendo il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, a puntualizzare che un primo giudizio ufficiale verrà espresso il prossimo 7 maggio, quando i conti «dovranno tornare sulla base delle nostre indicazioni».

Le percezioni diffuse in economia possono anticipare eventi che rischiano di auto-realizzarsi. Non è ancora il caso di drammatizzare, ma non è neanche il caso, come cerca di fare la politica, di far finta che i problemi non esistano. Ecco come la situazione italiana è stata riassunta di recente dai due massimi organismi economici internazionali (Ocse e Fmi) e dalla Confindustria.

Nel Rapporto economico sull’Italia (Survey Italia 2019), l’Ocse boccia Quota 100 e Reddito di cittadinanza, suggerendone un’abrogazione o quantomeno un forte ridimensionamento dell’impatto sull’economia. In particolare, Quota 100, così com’è, aumenterà «la disuguaglianza intergenerazionale e farà aumentare il debito pubblico». Una retromarcia su questa misura consentirebbe un risparmio di 40 miliardi di euro nei prossimi anni, cifra in linea con i calcoli dell’Inps.

L'Istituto ha indicato in 22 miliardi la maggiore spesa della riforma da qui al 2021. Il reddito di cittadinanza, invece, «rischia di incoraggiare l'occupazione informale e di creare trappole della povertà». Per l'Ocse, oggi l'Italia è ufficialmente in recessione, con una contrazione del Pil di -0,2% prevista per quest'anno; tuttavia, la stagnazione italiana è di lunga durata e parte dalla seconda metà degli anni '90. Siamo l'unico Paese del mondo sviluppato che oggi ha un reddito pro-capite inferiore del 2,5% a quello del 2000, contro una crescita media del 15% in tutti gli altri Paesi Ocse. Persino la Grecia ha un reddito pro-capite superiore dell'1,5%. Il problema è che questa stagnazione di lungo corso rischia di aggravarsi.

Anche il Fmi nel suo Rapporto sull'Italia ha lanciato l'allarme di una crescita negativa per il primo trimestre di quest'anno. Scrivono gli economisti del Fondo: «Evidenti vulnerabilità hanno lasciato l'Italia impreparata a fronte dei rischi che gravano sulla Ue, dal rallentamento della crescita all'impatto del protezionismo e della Brexit». Dietro c'è anche la maggiore incertezza sulla politica di bilancio dell'attuale governo, che si è tradotta già nel 2018, con l'innalzamento dello spread, in un incremento dei rendimenti dei titoli pubblici. C'è il rischio di contagio globale in caso di crisi. Se quest'ultima dovesse materializzarsi, il debito pubblico italiano riprenderebbe ad aumentare rispetto al Pil e il governo in carica sarebbe costretto ad attuare una manovra molto restrittiva.

Sul piano interno, è la Confindustria ad essersi incaricata per prima di dire pubblicamente che l'Italia è ferma. L'economia italiana, sostiene l'Associazione degli industriali, «è prevista sostanzialmente in stagnazione (crescita zero) nel 2019 e in esiguo miglioramento (+0,4%) nel 2020». Essa ha cominciato a perdere colpi a giugno 2018, con l'insediamento dell'attuale governo. I dati sull'occupazione lo confermano, con una crescita di 198 mila unità nel primo semestre 2018 ed una diminuzione di 84 mila nella seconda metà dell'anno. La fine dell'anno, inoltre, ha coinciso col crollo dell'attività industriale, innescata dal rialzo dello spread e dal crollo della fiducia. Una nota positiva, tuttavia, deriva dalle ultime rilevazioni dell'Istat, che a gennaio hanno registrato una ripresa del settore industriale dell'1,7% rispetto a dicembre, la prima variazione congiunturale positiva dopo quattro mesi di cali consecutivi.

Beniamino Moro

(Docente di Economia Politica, Università di Cagliari)
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