San Matteo da Pontida non si dà per vinto toppo facilmente, lo sappiamo, e come da copione trito e ritrito non manca dal provare ad offrire la sua prova di forza a quanti vorrebbero vederlo definitivamente sconfitto. Proprio ieri pomeriggio, alle 17, si è riunita, con esito positivo, la Giunta delle Immunità deputata a decidere sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti per sequestro di persona pervenuta dal Tribunale di Catania in merito al "Caso Gregoretti".

Al di là delle ragioni e dei torti, ma anche al di là della verosimiglianza dell'ipotesi accusatoria, ciò che veramente si pone come aberrante in tutta l'articolata vicenda non è stata, e non è, tanto la polemica, naturale e legittima, sull'effettività e sussistenza dell'ipotesi accusatoria, quanto, piuttosto, è stato, ed è, l'atteggiamento vittimistico del leader del Carroccio tendente a mistificare la realtà fenomenica solo per trarne un vantaggio elettorale dipingendosi come martire, come agnello sacrificale, immolato per il bene comune e per la salvaguardia dell'interesse nazionale.

Siccome agli show di questo capitano siamo oramai abituati, come pure siamo abituati alla sua proverbiale esuberanza mediatica, credo che l'intera vicenda vada ricondotta nel giusto alveo. Intanto, perché il sol fatto di aver rilanciato la religione come "instrumentum regni", ossia "strumento di governo", costituisce un chiaro e pericoloso abuso dei poteri civili che dovrebbe, invece, esso stesso, essere oggetto di ferma denuncia, non foss'altro per il fatto di favorire l'esigenza di quanti volessero governare, di circoscrivere al solo esito elettorale, e quindi al consenso riportato, la propria legittimazione all'esercizio incontrollato del potere. Quindi, perché il finto profeta padano di questa artefatta dimensione religiosa, costantemente strumentalizzata, approfitta di questo collante di carattere metafisico al fine di conferire una parvenza di dignità all’offensiva ai migranti e alla lotta senza esclusione di colpi all’immigrazione incontrollata, condannata a prescindere e a priori, pur in assenza di una linea politica precisa sul punto, per essere, a suo sindacabile dire, una minaccia per la salvaguardia dell’identità nazionale, la quale, a sua volta, troverebbe la sua salda legittimazione nell’alveo di una fede religiosa che, non solo, non sembra, come di fatto non è, condivisa dalla generalità dei consociati ma solo dalla frangia più chiusa, arcaica e fanatica del cattolicesimo moderno, ma, addirittura, e paradossalmente, non è neppure in sintonia con le motivazioni politiche di colui che pretende di volersene avvalere.

Inoltre, perché l’esigenza, attualmente tutta salviniana, di voler creare una correlazione necessaria tra il patriottismo ed il cattolicesimo, rappresenta una vera e propria contraddizione in termini per aver, lo stesso leader padano, ricondotto il sentimento patriottico civile verso un processo di radicalizzazione ed estremizzazione tale da trasformarlo in un concetto incompatibile con la fede e col rispetto del valore indisponibile della dignità di ogni essere umano.

Ancora, perché sebbene i rapporti tra magistratura e politica siano spesso difficili per la commistione più o meno di volta in volta ricercata tra i due poteri venutasi a determinare negli anni, tuttavia non si può pretendere seriamente di considerare la prima come strumento antidemocratico di controllo della seconda trattandosi, comunque, e con buona pace di Salvini, di un potere di natura costituzionale deputato a porsi come limite allo strapotere derivato da una temporanea, perché nulla è per sempre, legittimazione popolare che, molto spesso, potrebbe tradursi, e si è tradotta, in atteggiamenti lesivi dello stesso ordine costituzionale.

Infine, e di conseguenza, perché nessuno, nemmeno l’ex Ministro dell’Interno, nonostante la sua ampia legittimazione popolare, può porsi al di sopra della legge, alla quale, a ben vedere, sottostà pure la stessa magistratura.

E allora? È giusto o no che Salvini venga processato? A mio umile modo di vedere, ritengo che il vero problema non sia tanto la responsabilità o meno del capitano rispetto ai fatti contestati, e/o la strumentalizzazione che di essi compia addirittura invocando un digiuno deplorevole all'interno di un Paese realmente ridotto alla fame come il nostro, quanto piuttosto l’esistenza, a tutt'oggi, di un istituto tanto obsoleto quanto incompatibile col principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge quale quello dell’autorizzazione a procedere, siccome, all'evidenza, attribuisce a determinati soggetti riuniti in Giunta il potere, innaturale ed anti democratico, di porsi al di sopra della legge.

Detto altrimenti, l'immunità parlamentare non può ancora costituire una sorta di "jus singulare", di diritto particolare in deroga al principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini, così come pure non può costituire l'espressione di uno "jus commune", discendente dalla presunzione di superiorità degli organi di governo. Chi sbaglia, se sbaglia, digiuno o non digiuno, deve pagare a prescindere dallo status e/o qualsivoglia altra considerazione di sorta.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato Nuoro)
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