Intraprendente come pochi, ricco di un'immensa ricchezza, coraggioso e lungimirante. Franceschino Guiso-Gallisai, classe 1859, ardito e temerario non era un imprenditore qualunque. Nel buio di una terra in ginocchio e arretrata aveva deciso di far luce. Nel 1881 gli capita tra le mani "Il Messaggero delle invenzioni". In Gran Bretagna il fisico Joseph Swan con un filamento invisibile di carbonio all'interno di un bulbo di vetro sottovuoto, aveva acceso la prima lampadina a incandescenza. Nella sua Nuoro solo qualche fanale a petrolio, buio intenso al primo soffio di vento.

L'illuminazione

L'anno è il 1915. Il primo di maggio. Imbrunire. Don Franceschino, il pioniere, l'Agnelli di Nuoro, aziona la levetta che in un colpo solo accende 200 lampade a incandescenza nel cuore della capitale nuorese. Salvatore Satta, l'insigne giurista scrittore, dipinge con un'inusitata allegoria quegli attimi nel "Giorno del giudizio". «E d'improvviso - racconta Satta - come in un'aurora boreale, queste candele si accesero, e fu fatta la luce per tutte le strade, proprio da San Pietro a Sèuna, un fiume di luce, tra le case che restavano immerse nel buio. Un urlo immenso si levò per tutto il paese, che sentiva misteriosamente di essere entrato nella storia. La luce rimase accesa inutilmente. Si era levata la tramontana, e le lampade sospese nel Corso coi loro piatti si misero a oscillare tristemente, luce e ombra, ombra e luce, rendendo angosciosa la notte. Questo coi fanali a petrolio non avveniva».

Nel disincanto del racconto lo scrittore non si lascia sfuggire il rimpianto di quelle luci oscillanti che prima intercedevano con la notte: i fanali a petrolio di Nuoro, che ormai non servono più ma che qualcuno rimpiange, vengono venduti a Oliena, un paese dall'altra parte della vallata. Quando cade la sera, i nuoresi vanno a vedere Oliena che si illumina «un fanale dietro l'altro, che si potevano contare», scrive Satta.

Le prime lampade a incandescenza, però, in Sardegna vedono la luce nel 1883. Prima tra tutte nella miniera di Monteponi e poi quella di Malfidano e Montevecchio. Nello stesso anno a Cagliari l'illuminazione elettrica irrompe nel mulino di Luigi Merello. La Sardegna è, però, povera, anzi, poverissima, come poche altre regioni d'Europa. Il report di quegli anni della Banca Commerciale Italiana è senza appello: precarie condizioni igienico-sanitarie, carenza di strutture ospedaliere e grave dissesto idrogeologico, la struttura produttiva si basa quasi esclusivamente sulla pastorizia ovina, sul pascolo brado e sulla frammentazione terriera. La Banca cerca settori dove investire capitali e si guarda intorno. Manca acqua ed energia elettrica, scrivono i funzionari dell'istituto di credito.

L'ingegnere dell'acqua

A traguardare l'isola, studiandone l'orografia e le potenzialità, ci pensa Angelo Omodeo, classe 1876, ingegnere di Mortara. Capita in Sardegna nel 1908, con cartina piena di curve di livello al seguito. Vede pianure e montagne, ma lui che aveva disegnato dighe ovunque, intravede il corso d'acqua più importante, il Tirso. Immagina la più grande diga d'Europa, per irrigare i campi arsi dalla siccità e, soprattutto, produrre energia elettrica con forza motrice. Dell'invaso potenziale ne misura il bacino imbrifero e calcola le cadute idriche funzionali alla produzione idroelettrica. Il piano finisce sulla scrivania di Giuseppe Toeplitz, l'amministratore delegato della Commerciale.

A novembre del 1911 nasce la Società Elettrica Sarda e il 24 maggio del 1913 viene costituita la società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso. Banche e politica si muovono di pari passo. L'11 luglio del 1913 il parlamento approva la legge per «la costruzione di serbatoi e laghi sul Tirso». Il meccanismo è antesignano del project financing. Concessione delle opere per 60 anni, sovvenzioni e agevolazioni alle società private che realizzano le opere e le mettono in produzione.

Il 28 aprile del 1924 l'opera titanica è compiuta e nel 1926 entra in funzione, la prima in Italia nel suo genere. Le quotazioni della Società elettrica sarda valgono oro. I titoli azionari vanno a ruba. L'intrapresa finanziaria è ormai una grande industria di produzione di energia, con ben 800 km di linee elettriche. Nel 1915, la società sarda con sede a Milano, aveva già realizzato la prima centrale termoelettrica a Cagliari, alimentata a carbone. L'energia elettrica entra nelle case dei cagliaritani. Nel contempo vengono attivate tre linee tranviarie elettrificate.

La svolta statalista

La scommessa elettrica sarda si ferma nel 1962. Con la legge n. 1643 lo Stato decreta la nazionalizzazione delle imprese produttrici di energia elettrica. Nasce l'Enel. Passano sotto il controllo dello Stato tutte le 33 imprese sarde di produzione di energia, dalla Società Elettrica Sarda alla Società termoelettrica Sarda, dall'Elettrica del Taloro alla società di don Franceschino Guiso-Gallisai.

La svolta statalista dell'energia doveva portare riequilibrio, dare energia alle lande desolate, eliminare il buio dai territori più lontani, a partire dalla Sardegna. Una svolta pubblica per evitare che il mercato si buttasse a capofitto nelle aree forti e popolose e abbandonasse quelle periferiche e scarsamente abitate. Sono passati quasi sessant'anni e l'isola del sole arranca.

Nubi minacciose

Nell'anno del Covid 2020 i dati sono impietosi e l'orizzonte energetico della Sardegna è nero. L'istituto Tagliacarne, che fotografa ogni anno i divari infrastrutturali del Paese è lapidario. Se l'indice energetico medio dell'Italia è 100, la Sardegna ha appena 35. Significa che ogni cittadino sardo dispone solo di un terzo dei servizi energetici del cittadino italiano medio. Un differenziale che ha ricadute decisive sull'economia dell'isola, da quella industriale a quella agricola, dalle utenze pubbliche a quelle domestiche.

I dati sono impietosi: ogni famiglia media in Italia spende per la bolletta elettrica 417 euro, una famiglia sarda 512 euro. Cento euro in più a famiglia solo per la bolletta elettrica. Un salasso che si amplifica a dismisura se si analizza l'assenza del metano: costi aggiuntivi per i sardi calcolati ben oltre il 40% rispetto al resto d'Italia.

Lo scenario all'orizzonte è tempestoso. I costi elevati dell'energia elettrica e l'assenza totale di concorrenza hanno messo in ginocchio le industrie energivore e non solo. I costi dell'energia hanno portato alla chiusura dell'industria a più alto consumo elettrico dell'isola, l'Alcoa, che da sola consumava quasi un terzo dell'intera produzione elettrica della Sardegna. Costi alle stelle e fuori mercato: nel Sulcis, ha scritto la Commissione europea, il prezzo dell'energia elettrica era del 76% più alto rispetto alla media italiana. L'intero apparato produttivo sardo finisce sotto il ricatto dei produttori energetici che applicano prezzi inaccettabili, responsabili di un comportamento monopolista che approfitta della posizione dominante per elevare i prezzi dell'energia elettrica nell'Isola.

L'Unione Europea è lapidaria: i prezzi dell'elettricità in Italia sono fra i più elevati in Europa, e i prezzi in Sardegna sono fra i più elevati in Italia. I dati con i quali l'Europa sanzionò l'Italia gridano ancor oggi allo scandalo: l'Isola «si è attestata costantemente al di sopra della media nazionale, con un prezzo medio dell'energia di 106,60 euro a megawattora rispetto a un prezzo unico nazionale di 60,50».

Addio industrie

Le grandi industrie furono costrette a chiudere battenti e mandare a casa migliaia di lavoratori. I piani strategici per l'energia in Sardegna vennero riscritti a tempo di record. Come se il piano di dismissione fosse stato già pianificato. La nuova filosofia di Stato è l'esatto contrario di quella perseguita dalla Società elettrica Sarda. Allora si traguardava l'indipendenza elettrica dell'isola, proprio per la sua condizione di isolamento, prevenendo il rischio di blackout. I parametri di sicurezza elettrica nelle isole, del resto, impongono un surplus di produzione. Ora, si persegue la dipendenza totale.

Sul fronte elettrico si pianificano nuovi guinzagli a cui legare l'isola. Si progettano due connessioni elettriche: una con la Sicilia e l'altra con il rifacimento del cavo Sacoi, Sardegna-Corsica-Italia, che andrebbero ad aggiungersi all'ultimo nato, il Sapei, Sardegna-Penisola italiana. Nel frattempo, da qui al 2025, si prevede la chiusura delle due centrali elettriche di Portovesme e Fiumesanto che producono di fatto il 76% dell'energia consumata dall'isola. L'Authority ha sentenziato: le eventuali dorsali e le opere per portare il metano in Sardegna le devono pagare i sardi con un ambito unico ed esclusivo. Come dire: le altre regioni non devono pagare la metanizzazione dell'isola. E come fecero i nuoresi con Oliena, gli italiani si affacceranno sul Tirreno per vedere la Sardegna ancora con i vecchi fanali a petrolio. Le lobby, intanto, pianificano la spartizione degli affari energetici nell'isola di don Franceschino Guiso-Gallisai.

Mauro Pili

(Giornalista)
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