Il passato - in questa storia - altro non è che il prologo: «Quando ho visto il pallone che mi veniva incontro, ho alzato il braccio istintivamente, per difendermi. Ho sentito subito un grande dolore e sono finito a terra».

Danilo Piroddi oggi ha 58 anni e un desiderio: «Mi piacerebbe riabbracciare Gigi Riva». Tifoso del Cagliari, ha sempre vissuto in Sicilia ed è legato al Mito da un episodio. Il 2 ottobre del 1970, quando ancora era bambino, durante un viaggio a Roma con la famiglia, incorse in un infortunio per aver assecondato la passione rossoblù, alla vigilia di un match all'Olimpico con la Lazio. Il giorno dopo, finì sulle prime pagine di tutti i quotidiani. L'Unione Sarda lo immortalò con il fuoriclasse di Leggiuno, che era andato a trovarlo all'ospedale assieme all'allenatore Manlio Scopigno, al medico sociale Augusto Frongia e al dirigente Andrea Arrica. E raccontò: «Un ragazzo di 9 anni è stato colpito ieri pomeriggio da una pallonata tirata da Gigi Riva e ha riportato fratture al braccio sinistro guaribili in 30 giorni. Danilo Piroddi, da Siracusa e residente a Messina, si trovava dietro la rete della porta nel campo numero 10 dell'Acquacetosa quando è stato raggiunto da una pallonata tirata da Riva nel corso dell'allenamento della squadra del Cagliari. Trasportato all'ospedale San Giacomo, il ragazzo vi è stato ricoverato per frattura del radio e dell'ulna sinistra».

La notizia su L'Unione Sarda
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Oggi Danilo Piroddi, figlio di Flavio - cagliaritano, ex maresciallo della Marina Militare morto anni fa - vive a Siracusa, per ironia della sorte città di Concetto Lo Bello, l'arbitro che fu protagonista dello storico 2-2 di Torino con la Juventus nella stagione dello scudetto. Dal regno del Barocco - tra le viuzze di Ortigia e il Teatro Greco desolatamente deserti - attende in casa la fine dell'emergenza con giustificata ansia: «Lavoro come impiegato in un'azienda nel settore dell'energia», dice Piroddi. «Ma, senza stipendio, non è facile campare».

Che cosa ricorda di quel giorno all'Acquacetosa?

«Tanto dolore, poi una notorietà inattesa che durò per qualche mese».

Alla fine riuscì ad assistere alla partita?

«Sì. L'incidente accadde di venerdì e mi ricoverarono in ospedale. Ma la domenica ero all'Olimpico».

Il Cagliari le pagò il biglietto?

«No, ma bastò presentarmi all'ingresso della Tribuna Monte Mario: in quei giorni ero più popolare del presidente della Repubblica. Le maschere mi fecero passare. Il Cagliari accolse me e la mia famiglia con grande garbo. A fine match, il club mi fece visitare gli spogliatoi e conobbi i campioni dell'epoca».

Di quel Cagliari diventò la mascotte.

«In quella stagione rividi i rossoblù battere la Fiorentina e diventai il portafortuna di quella squadra straordinaria. Purtroppo, però, Rombo di Tuono si era infortunato in Nazionale e la favola rossoblù a certi livelli finì».

Tornando all'episodio dell'Acquacetosa, le fu promessa la maglia indossata da Riva ai Mondiali del Messico.

«Non ricordo, in ogni caso non l'ho mai ricevuta. Domenghini mi fece dono del pallone utilizzato nella sfida con la Lazio. Il Cagliari vinse 4-2 con doppietta proprio di Domenghini e i gol di Gigi e Gori».

Lo possiede ancora?

«Dico la verità: l'ho distrutto a furia di giocarci da ragazzino».

Per quale squadra tifa?

«Sempre per il Cagliari».

Ha mai più visto Rombo di Tuono?

«Sì, a metà Anni Ottanta, a Crema. Era il presidente del Cagliari, lo incontrai durante un ritiro prepartita della squadra e si ricordò dell'episodio. Fui ospite suo in tribuna nella gara contro la Cremonese. Mi farebbe piacere rivederlo e riabbracciarlo».

Quando?

«Questo non è un periodo facile per me. Sarebbe bello tornare a Cagliari, quando le cose si rimetteranno a posto. L'ultima volta venni nel 1990 e incontrai casualmente Beppe Tomasini».

Non si può dire che, nell'autunno del 1970, non trascorse una domenica speciale.

«Altri tempi».

Lorenzo Piras

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