Fingevano di essere restauratori specializzati in beni ecclesiastici, si facevano consegnare gli oggetti preziosi e poi mettevano in atto truffe ed estorsioni.

Nel mirino della banda sgominata dai carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (TPC) c’erano soprattutto sacerdoti e responsabili di istituti religiosi cattolici in Sardegna e in altre località della penisola. Tre persone sono finite in carcere, due ai domiciliari e tre sono ora sottoposte all'obbligo di dimora.

L'ordinanza è stata eseguita questa mattina a Pravisdomini (Pordenone), Fontanella (Bergamo), Samarate (Varese) e Labico (Roma), in collaborazione con i comandi provinciali dei carabinieri di Pordenone, Bergamo, Varese, Brescia e Roma e con il supporto del 2° Nucleo Elicotteri di Orio al Serio.

I Carabinieri del Nucleo TPC di Cagliari avevano avviato l’indagine denominata "Res Ecclesiae" nel dicembre 2017 dopo aver ricevuto segnalazioni e denunce relative all'attività illecita riconducibile a 13 persone di etnia Rom.

Le tre persone finite in carcere rappresentavano il vertice del gruppo criminale e, grazie a schede, telefoni, falsa modulistica e anche un locale dotato della strumentazione necessaria alla realizzazione di trattamenti galvanici, i "consociati" fingevano l'esistenza di una solida e strutturata azienda di restauro.

Oltre cento gli episodi di truffa ricostruiti dai militari, con lo stesso modus operandi: i malfattori si accreditavano come esperti restauratori con false referenze e a volte false identità. Convincevano i religiosi a consegnare beni ecclesiastici, solitamente argenti, per effettuare interventi di ripulitura o restauro, concordando in un primo momento prezzi molto competitivi.

Alcuni degli oggetti sottoposti al finto restauro (foto carabinieri)
Alcuni degli oggetti sottoposti al finto restauro (foto carabinieri)
Alcuni degli oggetti sottoposti al finto restauro (foto carabinieri)

Prima di riconsegnarli richiedevano il pagamento di una somma molto più alta rispetto a quella inizialmente pattuita, usando come scusa la sopravvenuta necessità di utilizzare grossi quantitativi d’oro (a volte facendosi consegnare gioielli ed ex voto al fine di fonderli per utilizzarne il metallo), quella di dover pagare manodopera aggiuntiva, o sostenendo che il prezzo concordato fosse da intendere al pezzo e non per la totalità dei beni affidati.

Se i parroci mostravano perplessità o rifiutavano di pagare, venivano minacciati: niente restituzione degli oggetti e comunicazione alla Curia o alla Soprintendenza poiché, senza le previste autorizzazioni, avevano consegnato per il restauro beni culturali tutelati.

L’importo economico estorto è stato calcolato dai carabinieri in diverse centinaia di migliaia di euro, a cui andrebbe sommato il valore dei pezzi mai restituiti, dei gioielli talvolta usati dalle vittime a titolo di pagamento, degli interessi dei finanziamenti accesi dai parroci per poter far fronte alle richieste di pagamento.

La banda, grazie a queste attività illecite, conduceva una vita molto agiata, disponendo di "ingenti somme di denaro - scrive il gip nel suo provvedimento - talvolta utilizzate anche per investimenti immobiliari (…)" e ancora "si è accertato che gli stessi sono assidui frequentatori di ristoranti e pizzerie, locali nei quali sono soliti spendere somme anche molto consistenti e comunque tengono un tenore di vita più che agiato".

Ma non solo: grazie ad accertamenti richiesti all'Inps è emerso che quattro delle persone finite nei guai percepiscono anche il reddito di cittadinanza.

I carabinieri (fermo immagine da video)
I carabinieri (fermo immagine da video)
I carabinieri (fermo immagine da video)

I funzionari storici dell’arte delle Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Cagliari e di Sassari hanno descritto lo stato di conservazione di alcuni beni "restaurati" dall’organizzazione criminale: "Tutti gli oggetti sottoposti a questi lavori non autorizzati non possono definirsi in uno stato di conservazione migliore rispetto al momento precedente l’intervento, ma anzi scontano i danni di operazioni invasive, inidonee, con un netto ed evidente peggioramento dei fenomeni di degrado" e "gran parte dei manufatti non hanno in nulla beneficiato dell’intervento; anzi, hanno in gran parte subito operazioni aggressive, invasive e scorrette sotto tutti i profili, che non hanno fatto altro che accelerare il loro processo di degrado e perdita di identità di bene culturale".

Nell'ambito dell'indagine sono stati eseguiti alcuni sequestri preventivi aventi ad oggetto una villetta bifamiliare a Fontanella, un terreno edificabile ad Azzano Decimo e tutti i conti correnti e le polizze di pegno intestati agli indagati; inoltre è stata data esecuzione a tre decreti di perquisizione nei confronti di persone indagate in stato di libertà a Urago d’Oglio.

(Unioneonline/s.s.)

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