Re Artù è leggenda e il Castello di Camelot non è a Bruxelles. La Tavola Rotonda, invece, esiste davvero. Con tanto di cavalieri e sudditi. È il 1983 quando Umberto Agnelli, il braccio globalizzato dell'Avvocato, vola a Parigi. L'attendono Pehr Gyllenhammar, direttore generale della Volvo e Wisse Dekker il patron della Philips. Si guardano in faccia. Non stimano la politica, ma fanno buon viso a cattivo gioco.

Sanno di essere i padroni, ma l'unica scimitarra che intendono sfoderare è quella della persuasione finanziaria. In soldoni, chi ha il potere economico deve decidere, la politica deve eseguire. Di loro non si parlerà quasi mai, al potere industriale ed economico hanno affiancato quello della carta stampata, giornali e giornalisti. Un silenzioso quanto strisciante controllo del quarto potere.

La Tavola Rotonda

Quel giorno a Parigi non hanno bisogno di raccontarsi troppe cose. Si capiscono al volo. Nasce lì, nella saletta parigina della Volvo, la Round Table of European Industrialists (Ert). La vera Tavola Rotonda, quella delle industrie europee. Il potere, quello vero, di incidere e decidere, ovviamente nell'interesse supremo della grande lobby. Dichiarano di voler «svegliare i governi» per rivitalizzare l'industria europea e «far esplodere» un'imponente modernizzazione della sua produzione di base.

Accorrono i capitani d'industria da ogni dove, ammessi solo dopo un rituale di fedeltà al denaro e al profitto. Partono in 17 per l'esattezza, dalla British Petroleum alla Daimler-Benz, dalla Fiat alla Shell, dalla Siemens alla Volvo. Insieme ad Agnelli prende posto anche un altro italiano, Carlo De Benedetti, in nome per conto della sua Olivetti. Tutti rigorosamente nella tavola rotonda. È il fratello dell'Avvocato, Umberto, a proporre e imporre agli inizi degli anni '90 le reti transeuropee (TEN), quelle per le infrastrutture di trasporto. La tavola rotonda mette nero su bianco e Bruxelles ratifica. È il primo imponente risultato della lobby rotonda. Oggi, nella modesta, grigia e nascosta sede della ERT, al n. 165 della Boulevard Whitlocklaan, nel cuore di Bruxelles, lavorano una quindicina di funzionari, una sorta di agenti del controspionaggio politico industriale a servizio dei potenti. Per loro parlano i numeri: intorno alla tavola rotonda siedono i goldman d'Europa, selezionati uno ad uno. Élite esclusiva con un fatturato combinato di 550 miliardi di euro e oltre 3 milioni di dipendenti in tutto il mondo.

Per capire quello che sta succedendo in Italia e cosa potrebbe accadere alla Sardegna, si devono leggere nomi e strategie della Tavola Rotonda. A partire dal capo della task force post Covid: sir Vittorio Amedeo Colao. La sua nomina per scrivere il piano post pandemia del governo italiano ha la firma in calce di Giuseppe Conte, ma la scelta arriva da lontano.

Chi è Colao

Del Cavalier Colao in Italia nessuno sapeva, fatte salve le alte sfere della finanza. Sconosciuto al grande pubblico, Cavaliere per davvero, con tanto di insegne presidenziali volute da Giorgio Napolitano. Lui, Colao, della potente tavola rotonda è stato sino a due anni fa addirittura il vice Presidente in capo. Nomina personale, incarico fiduciario, con i buoni auspici della Vodafone, la multinazionale del telefono che ha guidato per dieci anni. Dopo Agnelli, De Benedetti, Romiti, l'Italia ha schierato mister Colao, lo sconosciuto. Una nomina incomprensibile, anche per un precedente simile, che non portò bene al presidente in carica francese. Tredici anni fa Nicolas Sarkozy, dando mandato all'economista Jacques Attali di redigere il piano della Francia per liberare la crescita, inavvertitamente fece nascere la stella di Emmanuel Macron, designato da Attali a coordinare quel piano.

Con la scusa del lockdown il cavaliere della tavola rotonda se ne è rimasto chiuso a Londra, dove abita da tempo, e da lì ha dettato il piano del domani. Nel frattempo ERT, la tavola rotonda, è uscita allo scoperto. Nella home page del suo sito compare, guarda caso, l'agenda Covid 2019. Leggi la strategia declinata con la grazia della filosofia altruistica e capisci tutto.

La strategia della ERT

Nel Piano Colao il marchio della tavola rotonda è indelebile, impronte digitali rilevabili a occhio nudo. La linea della potente ERT si rispecchia nella strategia presentata a Palazzo Chigi: efficienza e flessibilità a scapito della stabilità dell'occupazione, imprese in grado di praticare licenziamenti forzati, i preavvisi abbreviati e le liquidazioni ridotte al minimo. E nello stesso Piano si rilancia la tesi messa nero su bianco dai cavalieri della tavola rotonda: è necessario un equilibrio tra sussidi di disoccupazione, supporto alla transizione, liquidazioni e preavvisi. E, infine, tutte le rogne in capo allo Stato. Recita il dogma degli eredi di Agnelli e De Benedetti: dovrebbe essere responsabilità della politica fornire adeguati sussidi di disoccupazione, parte dei costi del lavoro andrebbero spostati dalle imprese ai governi nazionali. È la longa manus di una regia nascosta ma evidente. Il Piano, dunque, è marchiato a fuoco. Rafforzare i forti, con ampi margini d'azione per le grandi imprese, per le grandi infrastrutture e i grandi mercati. Tutto il resto assistenza ed elemosine per i più deboli.

I rischi per la Sardegna

In questo quadro affrescato nei quartieri londinesi, con l'indelebile marchio della tavola rotonda di Bruxelles, emergono limiti macroscopici e rischi gravi per una terra come la Sardegna, lontana mille miglia dai poteri forti e dalle grandi lobby, dai grandi mercati e dalle infrastrutture europee. Il verbo di Colao, da oggi all'esame degli Stati generali dell'economia, ha capitoli rilevanti che mettono la Sardegna palesemente ai margini, la ignorano e la escludono. Mai citata né come isola, né come terra con i più gravi divari infrastrutturali ed economici d'Italia e d'Europa.

La strategia è declinata in modo chiaro nel capitolo infrastrutture, dalle strade al servizio idrico, dai porti alle ferrovie. Un concetto su tutti: un regime ad hoc per le infrastrutture di «interesse strategico» identificate come reti di comunicazione, energetiche e di trasporto/logistica. In poche parole leggi/protocollo per realizzazioni non opponibili da enti locali. Dunque il potere che decide senza che nessuno si possa opporre. Tutto questo in capo a una unità di presidio centralizzata a palazzo Chigi. Niente regioni, comprese quelle Speciali.

Per Colao le opere di interesse strategico sono quelle delle reti Ten, quelle di Agnelli per intenderci, che guarda caso escludono totalmente la Sardegna. Nemmeno un cenno sussurrato sul ruolo dell'isola nelle autostrade del mare e tantomeno del ruolo strategico nel Mediterraneo. Anzi, esplicita il concetto: piano dei poli strategici del Sud Italia con piena integrazione con i principali corridoi internazionali, ovviamente Sardegna esclusa. Così come l'obiettivo di estendere i corridoi ferroviari merci europei sino ai porti gateway internazionali. Sardegna ancora esclusa. E poi le priorità: il terzo Valico dei Giovi - Corridoio Genova Rotterdam, l'Alta velocità Napoli - Bari e la connessione dello stivale da Salerno alla Sicilia. Poco importa se il divario infrastrutturale sarebbe dovuto essere il primo obiettivo strategico del Paese: misurare il gap e compensarlo, anche in termini economici e fiscali. E, invece, nel piano della tavola rotonda riaffiora la privatizzazione dell'acqua, utile a far cassa nelle aree forti e popolose dell'Italia, a scapito di quelle deboli e con le condotte bucate.

In lungo e in largo la missione di Colao appare evidente: cedere ai privati gli asset prioritari del Paese, con la logica della concessione. Investimenti privati e servizi a caro prezzo con libertà di lucro. Gli dedica un capitolo intero dei 102 del piano. Il titolo è emblematico: investimenti concessioni. Parla esplicitamente di autostrade e gas. La Sardegna non ha né le prime, né il secondo.

In questo quadro strategico l'Isola rischia di restare tagliata fuori nonostante la grande mole di denaro che si sta per abbattere sull'Italia. Per la Sardegna non resta che rivendicare nelle alte sfere il riequilibrio insulare e quello infrastrutturale legato al divario su strade, ferrovie, energia e trasporti, e ottenere proporzionalmente quanto gli spetta dei fondi stanziati e da stanziare.

I nove miliardi dei sardi

Ipotizzando un riparto su base pro capite dei 342 miliardi che l'Italia avrà a disposizione per il post Covid alla Sardegna spettano 9,4 miliardi di euro. Un punto di partenza non derogabile al quale va aggiunto il riequilibrio insulare e infrastrutturale. Il piano ha ignorato l'isola, ha messo i paletti per tenerla esclusa da infrastrutture e sviluppo. Ha pensato esclusivamente a rafforzare le grandi imprese e le aree forti del Paese, quelle connesse con l'Europa dei poteri forti. E poi c'è la rivoluzione verde, disegnata per i potenti del vento e del sole ma questo è un altro capitolo del piano strabico del cavaliere della Tavola Rotonda.

Mauro Pili

(giornalista)

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