"Resto convinto che è dentro il perimetro dell’Unione europea e non fuori da esso che si deve operare alla ricerca del benessere degli italiani", perché "difendere l’interesse nazionale non significa abbandonarsi a sterili ripiegamenti isolazionistici, significa mettere la propria Patria al di sopra di tutto e non farsi mai condizionare da pressioni di poteri economici e da indebite influenze esterne".

Il discorso alla Camera per l’ottenimento della fiducia sul nuovo governo ha rivelato la vera e ritrovata essenza del premier Conte, autenticamente liberale, europeista, moderato e riformista. Se non ne conoscessimo la provenienza sembrerebbe proprio uscito dalle fila dei forzisti di cui pare aver apprezzato lo storico programma e lo stile sempre e comunque rigorosamente ispirato al rispetto delle istituzioni.

Un apparente cambiamento, il suo, che all’evidenza ha colpito i potenti d’Europa che considerano il nuovo esecutivo più rassicurante di quello precedente, indiscutibilmente caratterizzato non solo da fenomeni di aggressività verbale costantemente rimbalzata fuori e dentro il Parlamento, ma anche da atteggiamenti di chiusura, per non dire di netta opposizione, nei confronti dell’Ue in quanto tale. Per contro, una certa parte degli italiani, alcuni intossicati dagli incessanti proclami sovranisti susseguitisi nei mesi di governo giallo verde e proseguiti fino ad oggi, non hanno esitato a mostrare il loro disappunto, non solo o non tanto per la composizione della nuova maggioranza, ma soprattutto per il fatto di sentirsi vittime di dinamiche costituzionali che, seppure legittime, comunque li hanno esclusi, e li escludono, dalla scelta dei loro rappresentanti impedendogli di incidere direttamente sulla espressione della preferenza.

In questo senso, considerate le vicissitudini e le acrobatiche trattative finalizzate alla "conservazione" del premier uscente, forse sarebbe davvero auspicabile una riforma che, valorizzando la volontà popolare, preveda l’elezione del presidente del Consiglio dei ministri da parte del popolo. Così facendo si metterebbero a tacere le bocche dei maligni pronti sempre a gridare all’inciucio.

Ma, al di là di questo, perché Conte piace tanto all’Europa? Perché l’Italia deve continuare a far parte dell’Ue e perché, quest’ultima, allo stesso modo, necessita anche della debolissima terra nostra al pari di tutti gli altri Stati membri? Qualcuno penserà sicuramente a disegni strategici diretti a sottomettere il bel Paese alle grandi potenze europee, ma le risposte sono molto più semplici e logiche di quel che si possa immaginare e, soprattutto, di quanto talune forze politiche cerchino costantemente di instillare nell’animo della popolazione.

Intanto, perché Conte, coi suoi toni mai inopportuni, il suo fare gentile e diplomatico, con il suo atteggiamento sempre rigorosamente istituzionale e per nulla grottesco e plateale, è riuscito ad imporsi, ci piaccia oppure no, come l’unico vero anti-Salvini, l’unico nuovo capitano direttamente fuoriuscito dal botto del Papeete Beach in grado di calmierare gli animi e di rivolgersi al popolo con fare rassicurante, garantendo così la stabilità sul piano interno e internazionale che in tutti questi lunghissimi mesi di governo giallo verde è venuta costantemente a mancare.

Quindi, perché, tutto sommato, la permanenza di Conte alla guida di un rinnovato esecutivo di matrice ideologica europeista all’esterno appare in grado, ma i fatti lo dovranno dimostrare, di assicurare un dialogo costante e misurato con le istituzioni europee idoneo peraltro a far crescere, se così sarà, la credibilità sul piano politico internazionale e non solo europeo, del nostro Parlamento, il quale riuscirebbe altresì a restituire il suo ruolo primario a quel percorso di integrazione politica con l’Ue prima ancora che finanziaria da sempre trascurato.

Inoltre, perché, se proprio vogliamo dirla tutta, l’Italia rappresenta da sempre, nonostante le sue debolezze interne, un tassello fondamentale del mosaico europeo per la sua indiscutibile rilevanza geografica purtroppo, fino ad oggi, non fatta valere a dovere specie con riferimento alla costante azione di gestione dei flussi migratori. Poi, perché oggi riecheggiare lo Stato Nazione è oltremodo anacronistico e dannoso in uno scenario mondiale globalizzato che, al contrario, impone la sussistenza di una Unione di Stati, quale appunto quella europea, in grado non solo di contrastare colossi come gli Usa e la Cina, ma se sapientemente gestita, anche in grado di promuovere la crescita, l’occupazione e l’inclusione sociale.

Infine, perché il vero nemico per il nostro Paese è stato fino ad oggi proprio quell’atteggiamento contraddittorio e per certi versi diffidente verso l’Ue che ci ha impedito non solo di creare alleanze valide e produttive con altri stati membri ma anche, di conseguenza, d’incidere sui processi decisionali europei e di sfruttarne sapientemente i fondi.

In questo contesto, l’errore clamoroso di Salvini è stato non solo assecondare il suo delirio di onnipotenza che lo ha letteralmente accecato spingendolo ad aprire una assurda crisi di governo nel momento meno opportuno senza tener conto di tutte le possibili conseguenze, ma anche, e soprattutto, l’aver portato all’eccesso il suo personale attacco, per certi aspetti caratterizzato da spiccati accenti di anarchia, verso una compagine sovrastatale sorretta da regole comunemente riconosciute e ineludibili per chiunque, singolo o Stato, voglia sopravvivere sul panorama politico internazionale e di conseguenza interno, servendo in tal modo direttamente su un piatto d’argento lo scettro del comando a chi in tanti mesi era sempre rimasto in disparte. Che sberla! Resta da vedere, Senato permettendo, se Conte finirà anch’egli per dimostrarsi un leader di plastica oppure saprà resistere nel tempo.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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