Yulin, provincia di Guangxi, un mondo lontano, quasi alieno. In questa città di oltre 6 milioni di abitanti nella Cina meridionale, zona rurale lontanissima dallo stile di vita sempre più occidentalizzato di Shanghai e Pechino, ogni 21 di giugno per il solstizio d'estate si svolge un festival particolare che attira migliaia di turisti locali: quello della carne canina. Si vendono cani, insomma. Diecimila, più o meno. Di ogni età, razza e taglia. E si mangiano lì sul posto, bolliti o arrosto, tra bancarelle, concerti di musica tradizionale e balli. Né più né meno che come nelle nostre sagre della pecora.

IL TESTIMONE «Ho visto scene terribili, venti cani stipati in minuscole gabbie, bastonati, macellati sul posto oppure bolliti vivi. Secondo le loro credenze infatti più il cane è stressato più la carne è buona, perché l'adrenalina presente nelle fibre fornisce potenza sessuale». Davide Acito è un ragazzo italiano che nel 2016 è stato a Yulin e ha visto coi suoi occhi cosa succede in quel luogo remoto. Così ha deciso di fare qualcosa: ha fondato l'associazione Action Project Animal e oggi sarà a Cagliari (hotel Panorama, dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 18) per promuovere e spiegare la sua iniziativa, denominata Operazione Yulin. A giugno insieme ad altri volontari e con la collaborazione di alcuni attivisti cinesi, tra cui la 65enne insegnante Yang Xiaoyun, tornerà al festival e tenterà di salvare il maggior numero di cani. «Lo scorso anno - spiega - siamo riusciti a evitare una morte orribile a circa 400 cani e 60 gatti. Quest'anno speriamo di fare di più». Davide e gli altri animalisti li comprano direttamente dai trafficanti. I cani costano circa 7-8 euro al chilo e molti pare arrivino dal vicino Vietnam, dove ci sarebbero vere e proprie gang che si occupano di rastrellarne il più possibile anche rubandoli.

IPOCRISIA OCCIDENTALE? Il problema però è che il commercio di carne di cane in Cina non è vietato. Anzi, in tutto il Sud è un'abitudine secolare, che si intreccia con antichissime credenze popolari legate alla medicina tradizionale. Così come in Corea del Sud o in Vietnam. L'obiezione viene da sé: che diritto abbiamo di indignarci quando sulle nostre tavole ogni giorno finiscono agnelli, maialetti, vitelli, polli e conigli? Perché per i cinesi dovrebbe valere la nostra distinzione tra animali da affezione e animali da reddito? E ancora: nel mondo anglosassone mangiare carne di cavallo è inconcepibile, eppure in Italia e in Sardegna la carne equina non solo viene consumata senza problemi, ma è considerata una vera e propria prelibatezza. Non è un po' ipocrita tutto questo? Davide è un idealista, ma sa essere anche pragmatico. Per questo sposta l'obiettivo da raggiungere, che - per ora - è quello del benessere animale: cioè evitare le inutili sofferenze imposte a qualunque essere vivente, sia pure destinato a diventare carne da macello. «Io non mangio alcun tipo di carne - spiega -, ma capisco che le secolari abitudini alimentari di un popolo siano parte della loro cultura. Avremo già fatto tanto se, come avviene da noi per gli animali da reddito, le autorità cinesi imponessero rigide regole al commercio della carne canina, salvaguardando il benessere dei cani anche se destinati alla macellazione».

I CINESI A CAGLIARI Salvatore Magliani è presidente sardo dell'Assocanili e titolare del canile Shardana, uno dei più grossi del Sud Sardegna. Animalista convinto, conosce il problema da prima che il festival di Yulin diventasse uno scandalo internazionale. «Parte della comunità cinese che vive nel Cagliaritano proviene dallo Guangxi - spiega -, so che in passato molti cani sono spariti dalle nostre zone e nessuno può escludere che siano diventati cibo. In questi anni ho avuto però contatti diretti con alcuni di loro e mi sono reso conto che l'atteggiamento è cambiato, che hanno un rapporto con gli animali domestici molto più simile al nostro, ciò dimostra che è importante fare un certo lavoro culturale». Incidere qua, soprattutto quando si parla di cinesi che da generazioni stanno in Sardegna, è un conto, ma arrivare sino allo Guangxi è tutta un'altra musica.

CHE FARE «Il festival di Yulin è per noi il classico pugno nello stomaco - conclude Magliani -, ma se anche il governo cinese lo chiudesse si continuerebbe a consumare carne di cane nelle case e nelle feste dei vari villaggi. Lì sono considerati animali da reddito e come non posso dire al pastore sardo di non vendere più gli agnelli, così è difficile farlo con un cinese che commercia cani. Per questo gli sforzi devono essere concentrati sul discorso del benessere animale, sperando che in futuro anche le loro abitudini cambino». E, per una volta, il relativismo culturale può anche andare a farsi benedire.

Massimo Ledda

© Riproduzione riservata