Il silenzio è spettrale. Tutto qui si è fermato. Il capolinea ha le porte sbarrate, le saracinesche da tempo hanno calato le palpebre sui binari che si inerpicano verso il cimitero dei treni made in Sardinia. Le gigantesche pale che ombreggiano le vecchie carrozze nel piazzale della Keller girano lente, come se volessero rispettare il de profundis della cattedrale dei treni, tra San Gavino e Villacidro. I binari che costeggiano questo infinito e defunto stabilimento industriale, a due passi dal Paese d'ombre, si confondono con la terra arsa dall'abbandono. Rossi dalla fervida ruggine segnata dal tempo, ancorati in un terrapieno curvilineo formato antialluvione che circonda questa desolata zona industriale del sud Sardegna. Nella distesa di piazzali controllati a vista da telecamere a distanza giacciono inermi un'infinità di carri ferroviari, molti ancora con il marchio indelebile di Trenitalia, la società di Stato, croce e dolore delle strade ferrate dell'Isola.

Treni sui binari nella fabbrica chiusa (L'Unione Sarda)
Treni sui binari nella fabbrica chiusa (L'Unione Sarda)
Treni sui binari nella fabbrica chiusa (L'Unione Sarda)

La grande fuga

Vagoni abbandonati con le portiere rimaste aperte che traguardano il sentiero della grande fuga ferroviaria dalla Sardegna. I cancelli dell'immensa distesa di capannoni sono blindati davanti a quei binari distesi con una caterva di soldi pubblici sino alla pancia di questo stabilimento nato per succhiare denaro dalle casse pubbliche con l'ambizione di far viaggiare in carrozza i paesi più disparati in giro per il mondo. E', quella di Villacidro, l'unica zona industriale della Sardegna connessa con l'unico snodo a doppio binario dell'Isola, quello che collega San Gavino con Cagliari.

L'ombra della Snia-Eni

Il Monte Linas, racchiuso tra boschi e cascate, sovrasta le due ciminiere simbolo della disfatta industriale del Medio Campidano, quelle dell'antica Snia, manco a dirlo eredità nefasta della gestione Eni. Le lotte dei lavoratori della fabbrica di batterie per conto di Agip Petroli si sono per anni inerpicate, a Natale e Capodanno, su quei fumaioli alti 100 metri, unico segno indelebile rimasto visibile di quell' epilogo drammatico dell'inizio della fine industriale di questa landa desolata. Lo stabilimento della Keller è, in questo scenario, l'emblema più eloquente di una storia controversa e amara delle ferrovie in terra sarda. È la storia, e anche la fine, di quel sogno o illusione dei vagoni marchiati Sardegna, di una terra segnata dall'ingordigia di imprenditori destinati a prendere valanghe di finanziamenti pubblici in cambio di una copiosa cassaintegrazione, licenziamenti e chiusure. Una caterva di denaro pubblico, investimenti azzardati, interessi e lobby più disparate che hanno lentamente, ma inesorabilmente, portato la fabbrica dei treni di Villacidro verso un predestinato binario morto. Quella della Keller è la cronaca amara di promesse, millantatori e passerelle infinite che hanno illuso e deluso. Un fallimento, quello della fabbrica dei treni, segnato da una vicenda processuale specchio della ferocia con la quale è stata spolpata una fabbrica che, nel bene e nel male, ha segnato un'epopea ferroviaria tutta sarda. Oggi, in questa terra dove si viaggia ancora in strade ferrate ottocentesche, riemerge in modo dirompente il grande disimpegno di ieri, di oggi e domani, dello Stato e non solo sulla connessione ferroviaria interna ed esterna della Sardegna.

Una carrozza di Trenitalia nel piazzale interno (L'Unione Sarda)
Una carrozza di Trenitalia nel piazzale interno (L'Unione Sarda)
Una carrozza di Trenitalia nel piazzale interno (L'Unione Sarda)

Carrozze forestiere

Non è un caso che i nuovi treni, quelli pseudo veloci spagnoli della Talgo o quelli Swing della Pesa, o quelli ibridi della Hitachi, se questi ultimi mai arriveranno, vengano prodotti in Spagna, Polonia e soprattutto Reggio Calabria e Napoli. Il caso della Hitachi, quella che dovrebbe fornire a Trenitalia ben 135 treni ibridi, elettrico, diesel e a batteria, valore della commessa un miliardo e seicento milioni, è emblematico. Un giorno, forse, di quei 135 treni anche 11 dovrebbero finire in Sardegna. Non è un caso che quelli destinati all'Isola saranno prodotti dalla Hitachi nello stabilimento di Reggio Calabria. Capannoni, macchinari e personale tutto dell'Ansaldo Breda, società manco a dirlo di proprietà del gruppo Finmeccanica, ovvero lo Stato italiano. Nel 2015, stanchi di produrre treni e volendosi dedicare con più vigore a produrre elicotteri e navi da guerra, hanno ben visto di cedere il ramo d'azienda ferroviario alla giapponese Hitachi.

Treni di Stato al Giappone

Dopo un secolo di storia, per trenta milioni gli asset strategici dello Stato vengono ceduti ai nipponici, ritenuti più capaci di competere sui mercati mondiali. Qualche mese prima le sfilate di governo e regione avevano illuso il presidio dei lavoratori davanti a quella scritta sbiadita della Keller sul fronte dello stabilimento ferroviario di Villacidro. Le promesse superano le migliaia di traversine sistemate tra i binari che costeggiano il Medio Campidano. Promesse, appunto, senza alcuna concreta consistenza. Lo Stato, quello di Roma, tratta per interposta società, la controllata Finmeccanica, la cessione delle fabbriche dei treni. Gli stabilimenti di Pistoia (ex Breda Costruzioni Ferroviarie), Napoli (ex Ansaldo Trasporti) e Reggio Calabria (ex impianto OMECA) passano al Sol Levante. A Villacidro, invece, il tramonto, inesorabile e precostituito.

Lo zampino di Trenitalia

I giudici che il 17 novembre del 2014 siglano il fallimento della Keller elettromeccanica non lo mandano a dire. Anzi, lo scrivono senza mezze parole: «Con riferimento alle attese commessa della Trenitalia S.p.A. relative alla manutenzione straordinaria di carrozze ferroviarie e alla rottamazione di vetture attualmente presenti gli stabilimenti di Villacidro e Carini (stabilimento siciliano) è bastevole evidenziare come il riaffidamento delle commesse possa considerarsi, al momento, solo sperato». Come dire: illusioni a buon mercato. I giudici sanno di dover assumere una decisione che lascia il segno e non vogliono lasciare nemmeno un'ombra sulle ragioni che determinano la fine della Keller. Anche in questo caso non si affidano a sensazioni: « La Trenitalia SpA è stata la principale committente della società insolvente e, nel tempo, dopo aver scelto di dismettere servizio di collegamento tra la Sardegna e la penisola con navi costruite appositamente per trasportare carichi come i rotabili ferroviari, per assicurare esclusivamente un servizio a chiamata diretta con prenotazione anticipata tra i porti di Golfo Aranci e Civitavecchia, ha operato scelte che hanno indiscutibilmente accentuato la crisi della Keller elettromeccanica S.p.A.». Il colpo d'inizio, e anche quello letale. Non è un karma negativo quello della Keller. Di mezzo c'è la Sardegna, isola da isolare, interessi molteplici, dalla Campania alla Calabria, dalla Toscana agli affari militari della Finmeccanica.

I Giudici e l'Ansaldo Breda

I giudici traguardano anche la società di Stato, visto che qualcuno aveva millantato un interesse politico all'intervento di Roma. Tutto campato per aria, scrivono i giudici: «La possibile riattivazione dei rapporti con l'Ansaldo Breda S.p.A., azienda leader nazionale dello specifico comparto, è soltanto ipotizzata, sempre condizionata in maniera indefinita all'ammissione della Keller elettromeccanica in liquidazione alla procedura di amministrazione straordinaria». Anche per la società di Stato, pronta alla cessione alla Hitachi del proprio ramo d'azienda, la Keller non rientra nei propri obiettivi.

Vagoni per Egitto e Iran

Ci sono da spartirsi le commesse che la società di Villacidro dichiara di disporre: la costruzione di 212 carrozze ferroviarie passeggeri per la Semaf egiziana e di 50 carrelli ferroviari completi per l'Iran. Si affacciano anche gli indiani della Titagarh Wagon Ltd, quotata nella borsa di Mumbai, leader nel settore. Lo scrivono in inglese ma è facile da tradurre: consideriamo decisivo avere un'interfaccia non solo con il liquidatore ma anche con il governo italiano. Il silenzio delle rotaie è l'unico rumore che ancora è rimasto nella piana di Villacidro, tra binari abbandonati e treni giunti per sempre al capolinea.

Mauro Pili
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