«Nessuno credeva al mio dolore, e io continuavo a soffrire». La storia di Carlotta Pischedda, acconciatrice cagliaritana affetta da endometriosi, è simile a quella di tante donne, almeno 3 milioni in Italia secondo il Ministero della Salute. L'endometriosi è una malattia che colpisce una donna su dieci con un picco tra i 25 e i 35 anni.

Ma il problema principale sono le conseguenze - soprattutto psicologiche - date da una diagnosi il più delle volte tardiva di una patologia cronica e invalidante, ma sottovalutata. «Sapere che non sei matta, che non stai esagerando ma che quei dolori sono reali, ti cambia la vita», racconta. Per questo «dare un nome a quel dolore, oggi, è fondamentale: parliamo di endometriosi».

La storia

Che un qualcosa nel suo corpo che non funzionasse, per Carlotta Pischedda era noto «da sempre, solo che non sapevo dargli un nome», spiega. «La prima volta che sono finita al pronto soccorso era una delle mie prime mestruazioni: vomitavo dal dolore, mi si ruppero i capillari di un occhio, sentivo che dentro di me tutto si contorceva». L'endometriosi è determinata dall’accumulo anomalo di cellule endometriali fuori dall’utero. Un'anomalia (le cellule dovrebbero trovarsi all’interno) che determina un'infiammazione cronica dannosa per l’apparato femminile, che si manifesta principalmente tramite forti dolori e sofferenze intestinali.

Per Carlotta Pischedda il primo ingresso al pronto soccorso con "quei" dolori coincise anche con l'incipit di un'altra storia, parallela al decorso della malattia: «per la prima volta mi sentii dire che erano semplici dolori mestruali, e che dovevo abituarmi; una risposta che è mi stata data tante, tantissime altre volte».

Nessuna diagnosi
A rendere ancora più complessa una situazione che proseguiva negli anni andando «sempre peggio», è stata la mancanza di comprensione: «Il fatto che i medici per anni ti dicano che non hai niente è terribile psicologicamente, arrivi a dubitare del fatto che il tutto sia reale: nessun medico mi ha mai parlato di endometriosi, mi dicevano che dovevo stare tranquilla; sono stata io per prima a informarmi su cosa fosse quando tutti i sintomi messi insieme, iniziavano a tratteggiare un quadro perfetto». Fino a maggio 2021 quando l'ennesima visita ginecologica stabilisce però che probabilmente, quei dolori avevano un nome: endometriosi.

La consapevolezza

Poi la conferma. «Mi sono sottoposta alla laparoscopia - racconta - che ha confermato l'endometriosi e l'adenomiosi, ma purtroppo non si tratta di un'operazione risolutiva: si convive con questa patologia, spetta a noi donne trovare il modo». Il cambiamento in positivo, sta nella consapevolezza. Per Pischedda «questa malattia comporta vari sintomi che cambiano da persona a persona, ma un aspetto che ci accomuna tutte è l'esserci sentite sole, incomprese, derise e messe in discussione; avere una diagnosi, sapere che non sei semplicemente "lamentosa" come mi è stato detto più volte, è un sollievo». Ad attenderla ora, un cambio di alimentazione e stile di vita utile ad attenuare le conseguenze della patologia. «A chi sta male ma non ha trovato risposte - conclude - dico di non arrendersi: rivolgetevi a medici specializzati, non abbiate paura di parlare del vostro dolore, condividiamo le nostre esperienze affinché nessuna debba più sentirsi sbagliata o sola; non lo siete».

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