Genitori separati: quando l'orgoglio degli adulti riesce a schiacciare l'interesse dei minori
Atteggiamenti che spesso accentuano le differenze tra classi socialiÈ ormai un tristissimo dato di fatto che, nella gran parte dei casi (e tralasciando ovviamente quelli limite), a patire in misura superiore il fallimento della coppia è l’uomo/padre. Sotto il profilo economico, la separazione e/o il divorzio, hanno un costo che per tantissimi papà si traduce in una trasformazione radicale della propria quotidianità dovuta all’impossibilità di far fronte anche ai bisogni primari.
Sotto il profilo sentimentale, la separazione e/o il divorzio costringono quegli stessi papà ad affrontare, accettandolo anche loro malgrado, non solo il fallimento di un progetto di vita su cui avevano investito, ma anche il parziale distacco dai propri figli in maniera preponderante affidati alla figura genitoriale femminile, con tutto ciò che ne consegue ovviamente anche sul piano economico che purtroppo non è mai disgiunto, ma anzi accompagna, quello sentimentale.
L’impressione che se ne ricava è che al ruolo paterno, e proprio nella fase patologica del rapporto di coppia, sia attribuito quasi un carattere di residualità che si esprime nella doverosa corresponsione di un assegno di mantenimento per il minore, quando non anche per la ex consorte, e nella preordinazione di precisi orari di visita talvolta piuttosto limitanti.
Insomma, per molti padri, a causa della crisi economica che l’intero paese attraversa e/o della mancanza di lavoro, la separazione e/o il divorzio sembrerebbero tradursi in una vera e propria rovina.
Il Disegno di Legge Pillon, dal nome dell’onorevole senatore leghista Simone Pillon, primo firmatario, nasce col fine dichiarato di portare avanti una vera e propria riforma del diritto di famiglia attraverso la realizzazione, sul piano pratico, dell’uguaglianza di entrambe le figure genitoriali con riferimento al rapporto con i figli.
Con 24 articoli dedicati ai modi e ai tempi di frequentazione dei figli (che dovrebbero vivere per periodi predeterminati con un genitore e per altrettanti di pari durata con l’altro), al mantenimento diretto della prole (per cui il padre non sarebbe più tenuto a versare l’assegno di mantenimento alla madre affidataria), alla sorte della casa familiare, al contrasto al fenomeno della c.d. alienazione parentale, l’Onorevole Pillon si propone di risolvere in maniera definitiva le problematiche inerenti la crisi della coppia che scoppia.
Nulla quaestio sulla bontà dell’intento che certamente vuole rispondere al grido di aiuto di numerosissimi padri. Ma una riforma di tal fatta può davvero dirsi risolutiva? E può davvero dirsi rispettosa dei diritti dei minori? Ed ancora, i diritti violati dei padri dipendono realmente da una applicazione distorta o dall’inadeguatezza delle norme vigenti?
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, fin dal lontano 1989, individua la bi-genitorialità come un diritto del minore a conservare un rapporto stabile e continuativo con entrambe le figure genitoriali anche nell’ipotesi in cui queste siano separate o divorziate.
Ciò significa non solo che al minore, prima di ogni altro, deve essere assicurata protezione posto che l’essere genitori prescinde evidentemente dal perdurare del legame sentimentale della coppia, ma anche che le norme in materia sono, e devono essere, dettate con il fine precipuo di assicurarne la massima protezione.
Cerchiamo allora di comprendere se effettivamente questo disegno di legge sia davvero necessario e se sia idoneo a perseguire l’obiettivo, perlomeno quello dichiarato, che si propone, ovvero l’uguaglianza sostanziale delle due figure genitoriali a vantaggio della prole.
Il principio ispiratore del disegno di legge in oggetto risiede, come sottolineato dal suo ideatore, in una “progressiva de-giurisdizionalizzazione” e nell’intento di riportare l’attenzione sulla famiglia e sui genitori lasciando al giudice il “ruolo residuale di decidere nel caso di mancato accordo”.
Infatti, secondo il personalissimo parere del senatore leghista, la legge n. 54 del 2006, recante Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento, ed oggi ancora in vigore e rettamente applicata sul piano giurisprudenziale per il netto prevalere dell’affidamento condiviso, sarebbe rimasta solo sulla carta non essendo riuscita a garantire la salvaguardia, nei limiti del possibile, dell’unità della famiglia anche nel suo momento patologico.
Di qui, dunque, la necessarietà, sempre a parere del senatore Pillon, di una ulteriore riforma che possa assicurare l’esplicazione di una bi-genitorialità piena e rigida intesa come diritto del minore di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici ed equipollenti, salvo i casi di impossibilità materiale (in tal senso cfr. art. 11 DDL Pillon).
In buona sostanza, fermo restando il caposaldo dell’affidamento condiviso introdotto dalla legge attualmente in vigore e, ripetiamolo, pienamente e positivamente applicato, Pillon vorrebbe intervenire, per ciò che concerne questo specifico aspetto, solo sulle modalità di esplicazione dell’affidamento medesimo attraverso l’eliminazione della figura del genitore collocatario prevalente, garanzia di stabilità, e l’introduzione di quella ulteriore e del tutto nuova, del minore viaggiante obbligato ad avere due distinti domicili e due distinte quotidianità da “godere” (si fa per dire) per un arco temporale equamente ripartito a tutto vantaggio, in realtà, delle sole parti genitoriali.
Ma se questi sono i termini di una riforma che vorrebbe avere la pretesa di ricondurre ad equilibrio la gestione delle patologie dei rapporti familiari, garantendo l’uguaglianza delle due figure genitoriali, allora davvero risulta difficile comprendere in che modo essa possa raggiungere l’obiettivo proposto.
Intanto, perché, a differenza della norma attualmente in vigore, essa, anziché ridurre, accentua la sproporzione, soprattutto reddituale, non solo tra le due figure genitoriali componenti la coppia in crisi, ma anche tra nuclei familiari distinti appartenenti a differenti classi sociali, giacché è oltremodo evidente che una riforma nei termini sopra indicati troverebbe applicazione solo con riferimento a genitori con redditi medio alti e patrimoni che consentano loro di disporre di separate abitazioni.
Quindi, perché tempi paritetici di permanenza del minore presso ciascun genitore presuppongono il mantenimento diretto da parte di ciascuno di essi, non sempre attuabile in considerazione della sproporzione reddituale normalmente presente all’interno della coppia, con conseguente penalizzazione del minore che si troverebbe costretto a subire due differenti tenori di vita in relazione alle condizioni economiche dell’uno o dell’altro genitore.
Infine, ma non meno importante, perché la predisposizione di tempi paritetici di permanenza del minore presso ciascun genitore finirebbe per compromettere la stabilità psico-fisica del minore medesimo, costretto a vivere costantemente con la valigia in mano, con tutto ciò che ne conseguirebbe sul piano del rendimento scolastico e dell’armonico sviluppo.
Tanto detto, e molto altro ci sarebbe da dire, anche a voler prescindere da ogni considerazione relativa al fatto che trattasi di una riforma di carattere adulto-centrico siccome assolutamente lontana dal migliore interesse dei minori, ma anzi pensata per dare risposta al malcontento di talune categorie di padri, non ci si può esimere dall’esprimere un parere assolutamente negativo.
Chiunque abbia la pretesa di intervenire in una materia tanto delicata, deve, a modesto avviso della scrivente, tenere conto del fatto che il nocciolo del problema non è mai la separazione in se e per se considerata, quanto, piuttosto, la modalità di gestione della crisi che finisce inevitabilmente per ripercuotersi sulla sfera emotiva del minore quale soggetto debole del rapporto familiare.
Non bisogna mai dimenticare che la bi-genitorialità è un diritto del minore e non dei genitori, e la conservazione di rapporti continuativi tra genitori e figli non si esplica sempre e comunque attraverso una ripartizione paritetica della loro collocazione, ma va valutata caso per caso in ragione della effettiva residenza dei genitori, della loro vicinanza, dell’età dei minori e delle loro esigenze e via dicendo.
È chiaro che le norme, e quelle attualmente in vigore sono ottimali, possono solo servire a fornire una regolamentazione cui i genitori debbono ispirarsi, ma è poi compito loro andarsi incontro per quanto possibile al fine di trovare un equilibrio anche nella crisi, comprendendosi vicendevolmente e reciprocamente accettando i propri limiti.
Nessuna norma può mai sostituire il buon senso. E se proprio una riforma la si vuole fare, allora sia una riforma che preveda misure, soprattutto di carattere economico, a sostegno delle famiglie (di fatto e non) in crisi con prole, al fine di garantire ad entrambe le parti genitoriali, e per il miglior interesse dei figli, di poter contribuire al mantenimento degli stessi, ponendo a disposizione dei genitori bisognosi che siano tenuti ad allontanarsi dalla casa che fu di residenza familiare, anche abitazioni all’interno delle quali esplicare a pieno la loro funzione genitoriale.
Giuseppina Di Salvatore
(avvocato - Nuoro)