Efisio Mura non è uno sconosciuto per le forze dell'ordine. Cagliaritano, 40 anni, il suo nome compare tra quelli dell'ultimo processo a Graziano Mesina, finito di recente con la condanna del bandito orgolese a 30 anni per traffico di droga e che gli è costato (con il nuovo ordine di carcerazione, eluso con la fuga) anche la revoca della grazia. In quel procedimento Efisio Mura era stato condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione per spaccio. Stava scontando la pena in una comunità ma, stando alle accuse, faceva anche altro. Così ieri è stato arrestato. Secondo l'accusa era il boss di un'organizzazione composta da pusher, vedette e capi piazza. Mura avrebbe retto le fila della banda dalla comunità di recupero. E proprio lì sono andati a prenderlo i carabinieri, alle prime luci di ieri. Con lui sono state arrestate altre 32 persone, tra queste sei donne. Diciotto sono finite in carcere, dieci ai domiciliari, 5 hanno l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria. Nel penitenziario di Uta, Mura - secondo i carabinieri - «aveva a disposizione una rete di utenze cellulari introdotte clandestinamente, e con questa aveva messo in piedi anche un sistema di spaccio direttamente tra le mura carcerarie».

Il blitz

Quella di ieri mattina è stata la conclusione di una complessa indagine, ribattezzata "Operazione Dama" e condotta dai Ros in stretta collaborazione con i comandi provinciali di Cagliari, Nuoro e Bergamo, i Cacciatori di Sardegna, i militari del Nucleo elicotteri di Elmas e la stazione dell'Arma di San Bartolomeo. A firmare le ordinanze di custodia cautelare il gip Massimo Poddighe su richiesta della Procura di Cagliari guidata da Maria Alessandra Pelagatti. L'inchiesta era della pm Rossana Allieri.

In effetti le indagini sono state due: la pista sarda, incentrata nell'Isola, l'altra nel Bergamasco. E sono state condotte tra il 2018 e il 2019 seguendo e documentando il lavoro di due distinte associazioni: quella capeggiata da Efisio Mura e l'altra, radicata tra Sardegna e Lombardia, con a capo il guasilese Umberto Sanna in grado di assicurare contatti con elementi criminali albanesi e calabresi residenti in provincia di Bergamo. Erano proprio questi contatti diretti a garantire - secondo gli investigatori - una delle principali linee di rifornimento della droga (cocaina ed eroina in primo luogo) per il centro-sud della Sardegna. Numeri alla mano, sette chili di cocaina al mese. Le attività degli investigatori dell'Arma hanno inoltre documentato i contatti tra i membri del gruppo sardo (oltre a Efisio Mura, suo zio Pier Giorgio Mura) con qualificati esponenti della cosca di 'ndrangheta "Barbaro-Papalia" di Platì, operativa a Buccinasco, in provincia di Milano.

Le tecniche

Per trasportare gli stupefacenti, l'organizzazione aveva messo in campo un preciso stratagemma. Nelle auto sbarcate dai traghetti e munite di doppio fondo, i corrieri bergamaschi si portavano dietro figli e nipotini minori e mogli, così da sembrare, l'arrivo nell'Isola, come un viaggio di vacanza.

Recuperati e sequestrati a conclusione delle indagini 11 chili di cocaina purissima e scoperte importazioni aggiuntive in Sardegna per ulteriori 30 chili, utili per il confezionamento di almeno 180mila dosi per lo spaccio al dettaglio. «Proprio la purezza della cocaina sequestrata - ha spiegato il generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante del Ros - fa supporre quantità e dosi ancor più consistenti di droga immesse nel mercato dopo i tagli fatti inizialmente per l'ingrosso e poi per lo smercio nelle piazze». Da un chilo iniziale se ne potevano ricavare tre o quattro e forse anche di più con le sostanze da taglio. Un fiume di cocaina, dunque, finita in Sardegna: terra evidentemente proficua per le organizzazioni criminali sardo-lombarde.

Gli affari

Secondo i carabinieri, il gruppo cagliaritano capeggiato da Efisio Mura e operativo principalmente nell'area di Sant'Elia, considerata una delle piazze di spaccio per cocaina ed eroina più importanti del capoluogo, era in grado di produrre un volume d'affari di un milione di euro al mese. Un sodalizio, a detta del generale Angelosanto e del maggiore Giorgio Mazzoli, comandante del Ros di Cagliari, «particolarmente violento, che non esitava ad imporre la propria presenza tra i palazzi popolari costringendo con la forza altri residenti e persone perbene a fornire le proprie abitazioni per far rifugiare i pusher in occasione dei controlli». Il quartiere ieri è stato letteralmente circondato dai carabinieri (200 i militari coinvolti) per evitare che potessero verificarsi azioni di contrasto al blitz. Un'operazione che si è estesa anche nei centri di Guasila e Pimentel. Sequestrati tra Cagliari, Nuoro e Bergamo, soltanto ieri mattina, contanti per 150mila euro, 4mila dollari e 12mila sterline.

Andrea Piras

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