Nove malati Covid ricoverati in ospedale e nessuno in terapia intensiva, mentre i positivi in isolamento a casa sono una ventina. Il virus Sars Cov-2 circola meno grazie agli effetti del lockdown e alle costanti misure di contenimento, e se il numero dei contagi in Sardegna è ormai quasi a zero, gli effetti si vedono anche negli ospedali dove solo due mesi fa si contavano 133 degenti di cui 21 in terapia intensiva e i pronto soccorso erano sotto pressione. Cosa sta succedendo? Al di là dei casi di pazienti a rischio (anziani con più patologie, grandi obesi eccetera), il Covid è cambiato? Adesso è una malattia che si manifesta con sintomi più blandi, magari perché il virus è diventato più buono?

Non è di questa idea il professor Sergio Babudieri, direttore del reparto Malattie infettive dell'azienda ospedaliera universitaria di Sassari. «Io non penso che il virus si sia attenuato, e lo dimostra quello che è successo a Roma nei giorni scorsi (con i focolai in un condominio e in una casa di cura, ndr ). Quando il virus arriva in una comunità indenne, quindi suscettibile, crea problemi seri: ci sono stati centinaia di positivi e qualcuno è pure finito in terapia intensiva, esattamente nelle stesse proporzioni viste nei mesi scorsi nel resto d'Italia».

Quindi cos'è cambiato adesso?

«Il virus è sempre lui ma siamo cambiati noi medici che lo conosciamo meglio: le diagnosi le facciamo prima e abbiamo qualche arma in più come l'eparina che impedisce l'andamento verso la fase maligna della malattia, cioè quella massiccia attività di tipo tromboembolico. Quest'ultima, va detto, è un'osservazione fatta in Italia con le autopsie sulle vittime tra Bergamo, Brescia e Pavia».

Ma lei pazienti Covid ne ha ancora?

«Sì, ne ho nove, di cui cinque positivi e quattro negativizzati, ma questi ultimi non riusciamo a dimetterli perché sono pazienti multiproblematici, tra lungodegenze e case di riposo».

E i cinque positivi hanno i sintomi che voi medici vedevate nei mesi scorsi?

«Da più di un mese non vedo un nuovo paziente con sintomi acuti e una nuova positività».

Cioè?

«Sono tutti pazienti che si ripositivizzano a distanza, in cui c'è una presenza di virus residuale, talmente bassa che oggettivamente non possono diffondere la malattia. Possono diffonderla, invece, quelli con una carica virale alta, che hanno preso il virus da poco tempo, anche se asintomatici».

Condivide ciò che dice il professor Remuzzi dell'Istituto Mario Negri di Milano sui positivi di oggi non contagiosi?

«Sì. I tamponi della Lombardia riguardano gente che ha avuto l'infezione acuta 60, 40, 30 giorni fa. Adesso stanno facendo il test a tutti ed esce fuori che hanno ancora qualche filamento di Rna di coronavirus».

Ieri il dottor Ferdinando Coghe, direttore del laboratorio del policlinico di Monserrato, spiegava: i non contagiosi sono coloro che hanno una positività di vecchia data, sui loro tamponi ci sono frammenti di virus.

«Esattamente. Le ripeto, è più di un mese che non vedo pazienti con una storia nuova, anche solo magari con quei sintomi come il raffreddore o la perdita degli odori e del gusto. Questi di oggi sono tutti positivi residuali che probabilmente non sono contagiosi».

Ma questo non dovrebbe portarci ad allentare le misure di precauzione?

«Assolutamente no. Siamo in una situazione buona, è vero, ma la gente deve capire che il pericolo è ancora presente: guardiamo cos'è successo a Roma. Ma solo per restare in Sardegna, qui la popolazione è tutta suscettibile: non siamo come in Lombardia dove probabilmente il 25%, 30% della popolazione è venuto in contatto col virus, che sia stato malato o asintomatico».

Il direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano, Alberto Zangrillo, dice che il virus clinicamente non esiste più e che non si può ancora terrorizzare la gente.

«Sono affermazioni pericolose. Io sono ottimista per la situazione attuale in Sardegna, ma mi preoccupa il numero delle persone contagiate nel mondo che è enorme rispetto agli altri coronavirus come Mers e Sars. In un mondo globalizzato il virus ci sguazza. Vorrei però sottolineare un altro punto nient'affatto secondario...».

Quale?

«Noi, in realtà, ancora non lo conosciamo bene questo virus. Ancora non abbiamo capito tante cose: d'altronde questa è una malattia comparsa tre mesi fa in Italia. Per questo dico che se facciamo i saccenti abbiamo perso: è l'atteggiamento che mi dà fastidio di certi colleghi. Lo ripeto: se facciamo i saccenti abbiamo perso. Oggi certezze non ce ne possono essere».

Piera Serusi

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