Adesso sarà una bella sfida, dura lunga e combattuta, come una guerra di posizione, tra Matteo e Nicola. Una partita a scacchi, di quelle che richiedono coraggio e concentrazione, una saga paragonabile solo a quella combattuta tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema tra il 1995 e il 2008.

Oggi come allora c'è in campo il conflitto stridente dei carismi personali, ovviamente, ma anche la profonda distanza di due linee politiche opposte. Non è capriccio, è fatalità. Non c'è colpa o ragione, ma il richiamo della foresta che allontana i due leader. E la loro anagrafe: il Governatore del Lazio nel pieno della sua maturità, l'ex sindaco di Firenze addirittura giovane.

Tutti ora si chiedono incuriositi come cambierà il Pd di Nicola Zingaretti. Ma in realtà il partito è già cambiato, in una sola notte, con il voto - sorprendente - delle primarie. Sorprendente, prima di ogni altra cosa, per l'entità dell'affluenza, che secondo tutti i sondaggisti avrebbe dovuto viaggiare intorno al milione di votanti, e che invece ha sfiorato i due milioni, con code davanti ai seggi in tutta Italia. Il Pd è cambiato perché il suo popolo è passato da un contrario all'altro. La campagna di Zingaretti è risultata centrata perché il governatore è stato "diversamente" anti-renziano. Non "anti" perché contrapposto in modo feroce e polemico, ma "anti" perché sorretto da una comunicazione che era costruita come un calco rovesciato su quella dell'uomo di Rignano.

Non "anti" perché nemico, ma anti perché ribaltato sul suo modello per speculum, in senso Leonardesco. E non "anti" per chiamare alla battaglia i detrattori di Renzi contro i sostenitori di Renzi, ma per offrire una seconda possibilità ai sui fan più o meno delusi.

Non entro nel merito di questa scelta, la registro. E so già che una sinistra competitiva avrebbe bisogno sia di Matteo che di Nicola. È possibile? Forse, ma non probabile. Non è un mistero che Renzi avesse fatto i suoi calcoli su questo scenario: 1) Matteo non corre. 2) Nicola vince. E nemmeno tanto bene. 3) Matteo si tiene in allenamento presentando il suo libro. 4) Nicola va male alle europee (cioè sotto la soglia di sopravvivenza del 18% delle politiche). 5) Matteo fonda un nuovo partito, portandosi dietro almeno metà dei gruppi parlamentari, supera il Pd o lo eguaglia. La convinzione di Renzi era, ed è questa: Zingaretti non è un capo, può convincere i vecchi militanti e gli iscritti, ma non può vincere la sfida della modernità.

Mentre il governatore è sicuro del contrario: non serve un capo ma un uomo squadra, non serve un partito d'avanguardia ma una squadra, solo ricostruendo una coalizione si può tenere testa a Salvini. Ma il risultato del primarie ha sorpreso il senatore, e lo costringe per la prima volta nella sua vita a restare in attesa. Ha sorpreso anche Zingaretti (nel senso che ha ottenuto più punti di quanto non gli dicessero i sondaggi) e lo ha convinto che il suo Pd può superare il 20%.

Zingaretti non aveva uno slogan forte (in senso letterale, perché "Piazzagrande" è solo la descrizione di uno spazio, non una idea. È la perimetrazione di una zona franca, non una parola d'ordine.

E infatti, apparentemente, Zingaretti non aveva chiodi da piantare sui grandi temi: cosa pensa dell'articolo 18? Se lo hai sentito parlare un po' lo capisci, ma le carte non sono girate, e gli assi sono ancora nella sua manica. Cosa pensa dell'alleanza con il M5 stelle? L'elettorato sa che all'inizio Zingaretti ha detto che si poteva fare, che poi ha anche detto di no, ma sa anche che lui con la sua ex sfidante, Roberta Lombardi, nel Lazio ci governa. Una che di lui diceva: "Viene dal sistema di mafia Capitale". Gli elettori sanno anche che il vice di Zingaretti - Massimiliano Smeriglio - ha detto che questa alleanza va fatta.

Cosa pensa il neo segretario del reddito di cittadinanza? E delle pensioni? Su molti temi roventi il vincitore del primarie è stato, volutamente, oserei dire scientificamente generico. E non solo per una sua vocazione o per una sua attitudine, ma anche perché il segretario in pectore avvertiva che la sua stessa base, che in questi anni è stata bombardata di messaggi divisivi e controversiali, e ha subito come ferite le ultime tre scissioni, aveva bisogno di un periodo di decantazione quasi fisiologico.

Renzi vuole fuoriuscire totalmente dalla storia del Pci-Pds-Ds, pensa a un partito radicale, riformista, moderno, capace di muoversi disinvoltamente sulla scena politica, privo di zavorre.

Questa sfida che nelle primarie non c'è stata, sarà l'infrastruttura su cui i due contendenti si affronteranno. E se non ci sarà conciliazione finirà come diceva Sean Connery in una celebre scena di Highlanders: «Ricordati! Alla fine ne resterà uno solo!». Auguri.

Luca Telese

(Giornalista, autore televisivo)
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