Cagliari, famiglia aggredita a Stampace: «Ho temuto che mio marito fosse morto»
L’auto dei tre arrestati intralciava la strada, la testimonianza: «Un colpo di clacson ed è scoppiato l’inferno»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Ho avuto paura che mio marito fosse morto. Era immobile sul marciapiede pieno di sangue». Impossibile dimenticare quanto successo nella notte tra sabato e domenica in via Mameli: «Ho temuto anche per mio figlio. Nel difendere il padre dalla violenta aggressione di quei tre, è riuscito a gettarne a terra uno che poi lo ha colpito con qualcosa di tagliente, forse una bottiglia in vetro mandata in frantumi poco prima. Per fortuna le ferite alla testa, al collo e a un fianco non sono risultate profonde, altrimenti...». A 53 anni, una moglie e mamma ha vissuto momenti di terrore in quella che doveva essere una nottata di divertimento. «Stavamo andando nel locale di un nostro amico», racconta la donna. «In via Mameli c’era un macchinone fermo in mezzo alla strada. Mio marito dopo un pochino ha suonato il clacson. Sono così sbucati quei tre giovani. Ed è iniziato l’inferno».
Per la feroce aggressione sono finiti in carcere, come disposto dal pm Andrea Vacca, con l’accusa di lesioni gravi, i quartesi Stefano Marcialis e Nicolò Congia (32 e 23 anni), e il 19enne Davide Matteo Battocchia, residente a Sinnai. Sono stati bloccati dagli agenti delle volanti mentre, con la stessa auto (una Land Rover), si trovano sull’Asse mediano. I poliziotti, coordinati dal dirigente Massimo Imbimbo, hanno sequestrato una bottiglia in vetro, rotta, utilizzata probabilmente durante l’aggressione.
Gravissime le conseguenze per il 51enne: una prognosi di 70 giorni e il ricovero al Santissima Trinità in attesa degli interventi chirurgici per le fratture alla mandibola e al setto nasale, oltre a quella alle costole. Il figlio 24enne se l’è vista brutta: un trauma cranico e in tutto 11 punti per le ferite da taglio alla testa, al collo, a una spalla e a un fianco. Se la caverà con 20 giorni di cure. Per la 53enne, intervenuta in difesa del figlio, alcune ferite non gravi soprattutto a mani e braccia. È lei a rivivere quei drammatici momenti.
Cosa ricorda?
«Mio marito a terra, privo di sensi. Mio figlio che riesce a portarne via uno ma che lo colpisce con qualcosa di tagliente. Il sangue, le urla e poi quelli che scappano in auto».
Perché tanta violenza?
«Con mio marito e mio figlio stavamo andando nel locale di un caro amico. In via Mameli un’auto ferma in mezzo alla strada non permetteva di proseguire. Così mio marito ha suonato il clacson. Chi era nel macchinone non l’ha presa bene. Si sono avvicinati. Mio marito e mio figlio a quel punto sono scesi dalla vettura. C'è stata una lunga discussione. Poi è successo il peggio».
Hanno usato una bottiglia rotta?
«Uno ha spaccato una bottiglia d’amaro contro un paletto. Con questa probabilmente ha colpito mio figlio in più punti. Per fortuna non ha riportato ferite profonde, altrimenti... Io ho cercato di bloccare quel tizio, impedendo che andasse oltre. Così ho riportato delle ferite».
Suo marito?
«Era a terra, fermo. Con mio figlio abbiamo avuto paura che fosse morto».
Qualcuno è intervenuto in vostra difesa?
«Nessuno. Qualcuno ha però preso nota del modello dell’auto e della targa. Così i poliziotti hanno rintracciato la vettura poco dopo, fermando i tre».
Ha avuto paura?
«Molta. Sia io che mio figlio abbiamo anche detto a quei tizi di smetterla, che ce ne saremmo andati. Ma non è servito a nulla. E ancora adesso non riesco a capire come sia possibile rischiare la vita in una serata di divertimento, in pieno centro città. Non possiamo aver paura di uscire la sera. O temere per quello che potrebbe accadere ai nostri figli».
Matteo Vercelli