Assalto eolico, le lunghe notti di Tharros
Il racconto “dentro” la protesta che ha paralizzato il trasporto delle pale eoliche nei nuovi cantieri nel sud dell’IsolaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La prima contraerea a levarsi in volo è puntuale come un orologio svizzero. Alle venti in punto, con il sole ancora caldo sul Golfo di Tharros, una pattuglia di “Anopheles”, in assetto da sciame primordiale, si abbatte in picchiata sull’ingresso del Porto industriale di Oristano. Gli spray d’ordinanza fanno quel che possono per diradare l’assalto di quelle irriverenti zanzare d’altri tempi allevate come mandrie nelle acque stagnanti intorno allo scalo oristanese. È il preludio di una notte che si annuncia movimentata. Le vie della “Città di Eleonora”, sin dall’imbrunire, pullulano di Jeep bianco celesti, mimetizzate dai lampeggianti tenuti spenti, con l’intento, mal riuscito, di non allarmare oltre misura la più pacifica delle “metropoli” sarde. I più attenti osservatori percepiscono al volo quel che sta per succedere.
Il dogma di Roma
Il dogma di Roma è scandito con dispacci reciproci tra le Prefetture dell’Isola e il Ministero dell’Ordine pubblico: eliminare ogni resistenza alla movimentazione di pale eoliche in territorio sardo. Il Prefetto oristanese va oltre le ambizioni di “soppressione” di ogni protesta: qui è tutto tranquillo – narra una nota prefettizia destinata più a Roma che al presidio di Tharros. Mai un’affermazione fu tanto improvvida e intempestiva, visto che da lì a poco, nel proscenio di un Porto divenuto strategico per gli speculatori del vento, si sarebbe scatenato un vero e proprio inferno, con scontri reiterati e persino un “fermo-arresto” con tanto di manette esibite a favore di telecamere.
Il malloppo dell’eolico
Che non ci fosse niente di tranquillo sulla foce del Tirso lo si capisce quando nelle retrovie di una zona industriale impoverita da fabbriche mai nate e altre “decotte” prima di nascere si sono posizionati i blindati di Carabinieri e Polizia come se si preparasse l’assalto al covo degli audaci e milionari rapinatori della Mondiapol di Sassari. Niente di tutto questo, anche se il bottino posizionato nelle banchine del Porto di Oristano è ben più cospicuo di qualsiasi rapina milionaria mai assestata ai caveau dell’Isola. Da distribuire in lungo e in largo per la Sardegna ci sono decine e decine di pale eoliche ciclopiche, le più grandi di sempre mai sbarcate nell’Isola, giunte quasi due mesi fa direttamente dalla sede spagnola di Vestas, la multinazionale danese specializzata negli “affettatori” seriali del vento sardo. Da giorni, da quando si è avuto sentore che la moratoria approvata dal Consiglio regionale fosse “acqua calda”, si è percepito che quei rotori, piloni e pale si sarebbero presto mossi, senza colpo ferire, per le destinazioni più disparate, dalle pendici del Marganai, tra Musei e Domusnovas, sul fronte della Carlo Felice tra Marrubiu e Terralba, e a ridosso del Monte Linas tra Sanluri Stato e Villacidro.
Nessun divieto
Cantieri appena aperti, in teoria da comprendere in quella, bislacca e inutile, norma approvata dall’Assemblea legislativa sarda che prevede il teorico, ma solo teorico, «divieto di realizzare» centrali eoliche e fotovoltaiche. Una disposizione, però, talmente confusa e generica che alla fine non solo non blocca le procedure di autorizzazione, ma non interviene nemmeno minimamente nei cantieri da aprire, già aperti o in fase avanzata. Il Porto di Oristano è, dunque, duplice simbolo di questa vertenza-mobilitazione: da una parte conferma che l’assalto all’Isola è iniziato, dall’altra è la prova provata che la moratoria è inutile e nociva visto che non blocca in alcun modo le procedure autorizzative. Il tam-tam dei messaggi è un allarme che scorre nelle chat dei comitati. Non c’è il tempo per muovere, se mai fosse possibile, le grandi masse.
I coraggiosi
Nel presidio davanti alla Capitaneria di Porto, però, arriva un numero sufficiente di donne coraggiose e uomini disposti al contatto fisico pur di difendere l’inviolabilità dell’Isola. Quando i suv di Stato irrompono sul proscenio portuale la penombra della notte si è già impossessata del teatro dello scontro. I cellulari dei dirigenti squillano come un vortice: c’è da valutare se soprassedere, trovare un punto di mediazione, oppure arrivare allo scontro con i manifestanti. Prevale l’azione di forza. Dai rivoli del cimitero industriale, appena scattate le ventidue, arrivano i blindati carichi di poliziotti e carabinieri: caschi e scudi antisommossa, come le peggiori performance di Stato contro pacifici cittadini intenti solo a difendere la propria terra da speculatori e faccendieri pronti a devastare impunemente promontori e pianure, oasi o cime intonse. Il posizionamento è perentorio. I mezzi escono dall’uscita secondaria del porto, dopo che quello principale risultava bloccato dai manifestanti. È in quel momento che gli occhi dei manifestanti si sovrappongono come lame sugli sguardi degli uomini in assetto di guerra. Il contatto è pressoché immediato. Lo scontro si fa duro e continuo. Alle tre del mattino c’è ancora chi urla: “a foras is palas de sa Sardinia”. Il presidio non si ferma. Le lunghe notti nella terra di Eleonora sono appena iniziate. La “guerra” all’assalto eolico nell’Isola di Sardegna entra nel vivo.