Valico dei Giovi, crocevia geologico tra gli Appennini liguri e le Alpi, lo snodo cruciale tra quello che fu il decapitato ponte Morandi di Genova e la pianura Padana. Dal terzo valico ferroviario, la più grande opera infrastrutturale italiana, nel cuore del nord Italia, a Serra Scirieddus, periferia estrema del Sulcis depredato da tutti, il passo, secondo alcuni, è breve. Mille chilometri, passando per il nuovo viadotto sul Polcevera sino all’imbarco per Porto Torres, poi una colonna marciante di camion con l’emblema della R gialla di rifiuti, sottotitolati con la A di amianto, stampata in rosso su quei big-bag, grandi sacchi bianchi, pieni del più pericoloso e letale dei pulviscoli.

Geometria variabile

Ci vuole molta fantasia, non poca dimestichezza con la geometria, per sostenere che quelle montagne piene di amianto, con tenori da far spavento, a ridosso di Genova, siano esattamente dietro l’angolo di Gonnesa o Carbonia. Invece, nelle carte che pubblichiamo in questa pagina, allegate al dossier della Riverso spa, la società della famiglia campana dei Colucci, depositato nei giorni scorsi all’assessorato regionale all’ambiente, si sostiene esattamente questo: la discarica di Serra Scirieddus è in “prossimità” del Valico dei Giovi, esattamente il cantiere di Cravasco, ultimo avanzamento del grande tunnel sotterraneo destinato a collegare Genova con l’attuale desertica Pianura Padana.

Affari d’oro

Un’affermazione tanto perentoria, quanto surreale, lasciando comprendere che gli affari dei rifiuti sono sconfinati a tal punto da immaginare di poter caricare navi di amianto, insieme alle rocce scavate nel cuore di quelle montagne, e spedirle nientemeno che sul versante sud occidentale della Sardegna. Camion su camion, navi su navi, per un viaggio devastante, per trasferire quantitativi smisurati di amianto estratti a suon di esplosivo e talpe meccaniche dalle viscere dell’Appennino ligure sino alla discarica di Carbonia, a ridosso di Gonnesa. Per i signori dell’amianto del resto quella collina dei veleni in terra sarda è la più vicina di quelle disponibili per scaricare quel quantitativo ciclopico di sostanze definite a tutti gli effetti cancerogene. Lo sostengono come se l’affermazione non sollevasse più di un dubbio. Affermare, come fanno le società che gestiscono lo smaltimento di quelle scorie di amianto estratte dalle gallerie del terzo valico dei Giovi, che in Italia non ci sarebbero altre discariche disponibili ad accogliere quel tipo di veleni la dice lunga su come funzionino gli appalti in Italia. In effetti, prima di assegnare la gara, la stazione appaltante, l’amministrazione che procede all’appalto, dovrebbe prima di tutto verificare il computo degli scavi, ovvero quanta terra, in questo caso roccia, si estrae dal cantiere e dove la si ricolloca.

Bilancio delle rocce

Una sorta di bilancio obbligatorio delle terre a cui nessuno si può sottrarre, anticipatamente e preliminarmente all’affidamento dell’opera stessa. Dichiarare dove finiranno quei rifiuti è una condizione essenziale e indifferibile, un obbligo preventivo. In pratica se non sai dove mettere quelle rocce da scavo, non puoi vincere quell’appalto. Senza un sito dove smaltire quei rifiuti sarebbe impossibile svolgere regolarmente il principale compito di quell’appalto: scavare gallerie per decine e decine di chilometri, estraendo milioni di metri cubi di materiali, come nel caso del Valico dei Giovi, carichi di amianto.

Il triangolo d’amianto

Nonostante questo, il triangolo tra le due società che dichiarano di gestire lo smaltimento dei rifiuti d’amianto degli Appennini liguri, nel cantiere del “Nodo di Genova”, ha pianificato tutto nei minimi dettagli. La società “Htr Bonifiche” di Roma e l’impresa “Il Recupero per l’Ecologia” hanno scritto senza mezzi termini alla Riverso: richiesta di conferimento rifiuti contenenti amianto. Alcuni passaggi delle due lettere, che pubblichiamo per stralci, inviate alla Riverso, sono letteralmente uguali: uno copiato dall’altro.

Regia extraregionale

Se a scrivere quelle missive non è stato un preveggente, è altrettanto evidente che a dirigere l’orchestra dell’amianto da spedire in Sardegna c’è una vera e propria regia con un obiettivo su tutti: far cassa. O meglio riempire ad ogni costo, subito e senza limiti, ogni angolo di quella discarica. Si può spiegare solo così la richiesta inoltrata dalla Riverso alla Regione sarda, alla fine del mese scorso, con la quale chiede la deroga per poter “accogliere” quei rifiuti extra-regionali provenienti da Genova.

Giudici & Noe

Una richiesta che ignora due aspetti fondamentali della vicenda: le sentenze dei tribunali e i verbali del Noe, il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, sulla gestione della discarica di Serra Scirieuddus. Prima di tutto i pronunciamenti dei giudici amministrativi: più volte i togati del Tar hanno affermato il divieto di trasferire in Sardegna rifiuti con la scusa che non ci sarebbero altre discariche in Italia pronte ad accoglierli. A segnare il confine del principio di prossimità fu la sentenza del Tar Sardegna n. 706, del 15 ottobre 2021. Ad opporsi alla bocciatura decretata dalla Regione e dal Comune per l’utilizzo della discarica di Serdiana per smaltire i fanghi fognari pugliesi erano stati i legali della società Ecoserdiana, sostenuti “ad adiuvàndum” proprio da quelli della Riverso di Carbonia. I Giudici, in quell’occasione, si erano espressi in maniera chiara: anche i rifiuti speciali, come fanghi e amianto, devono essere smaltiti in discariche “prossime” rispetto ai luoghi in cui quei rifiuti si producono. Un provvedimento giudiziario forte e chiaro che la Riverso e soprattutto l’assessorato dell’ambiente conoscono molto bene. Il tentativo della società della famiglia Colucci, che gestisce la discarica di Carbonia, di “precostituire”, attraverso queste comunicazioni delle imprese impegnate nella costruzione del Terzo valico dei Giovi, una sorta di principio di “prossimità” della Sardegna rispetto allo “snodo di Genova” è non solo ardito, ma appare decisamente fuori da ogni logica. Se passasse questo presupposto, per il quale nessuna regione si dota di discariche di rifiuti speciali, la Sardegna diverrebbe, ancor di più, l’unica discarica autorizzata a ricevere i rifiuti d’oltre Tirreno. Un’ipotesi palesemente improponibile sul piano sostanziale, aberrante su quello giuridico. Il secondo tema che l’assessorato regionale dell’ambiente sembra ancora ignorare, insieme alla Provincia del Sud Sardegna, è la relazione del Noe sulla gestione di quella discarica di Carbonia. Eppure i carabinieri del Nucleo ecologico avevano emesso una vera e propria sentenza senza appello. Scrissero: «Le pompe installate all’interno dei tre pozzi spia sottotelo erano in blocco. Dalle operazioni di rimozione e reinserimento delle stesse all’interno dei pozzi finalizzate al loro corretto funzionamento, si è appurato che tali apparecchiature erano ancorate ad altezza superiore al fondo pozzo. Al riguardo, deve essere tenuto in debita considerazione il fatto che le pompe, con annesso sistema di trasporto dei liquidi sono state rimosse e riposizionate all’interno dei fori adibiti a pozzi da personale Riverso spa su richiesta della polizia Giudiziaria operante e che, in tali fasi, non sono state incontrate né rappresentate ostruzioni nel percorso verso il fondo pozzo. Ciò a significare che la precedente altezza non poteva essere frutto di situazioni casuali derivanti da potenziale erronea valutazione delle altezze connessa a interferenze esterne al foro, ma, al contrario, espressione della volontà del gestore». In pratica, i carabinieri, avevano sostenuto che il gestore aveva, volutamente, bloccato le pompe prima che arrivassero al fondo con il risultato che non si sarebbe potuto in alcun modo riscontrare se la discarica “perdesse” veleni nelle falde idriche.

La diffida dimenticata

La Provincia del Sud Sardegna, in seguito a quella denuncia del Noe, aveva emesso un provvedimento con il quale «diffida la società Riverso all’esercizio dell’attività di discarica». Di punto in bianco, come se niente fosse accaduto, la Regione, senza un preliminare vaglio della stessa ammissibilità della richiesta della Riverso, il 31 marzo scorso, scadenza delle opposizioni il 30 aprile, ha pubblicato il piano per riempire la discarica di Serra Scirieddus proprio con l’amianto del Terzo valico dei Giovi. E del resto che si tratti di una vera e propria colonna marciante di amianto lo dimostra la comunicazione di una delle due società che hanno chiesto di attivare una deroga “riservata” alla sola opera del Terzo Valico di Genova.

Carovana d’amianto

Scrive la società Htr Bonifiche: «Il cantiere in oggetto necessita oggi di un numero elevato di conferimenti nell’ordine di 50 viaggi/settimana». Si tratterebbe, dunque, di un flusso di amianto imponente, tale da riempire in poco tempo la discarica di Carbonia, esaurendo di fatto le disponibilità da una parte per le bonifiche da fare nel Sulcis e dall’altra per le esigenze della Sardegna. Il risultato, probabilmente già pianificato da qualcuno, è quello di ottenere nuove autorizzazioni per nuove colline-discariche di veleni. In tutta Italia questi rifiuti li respingono senza riserve. In Sardegna, invece, si aprono nuove procedure autorizzative. Gli affari dell’amianto, quello da spedire da Genova sino all’Isola dei Nuraghi, sono solo agli inizi.

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