Non è un affare che riguarda solo i Palazzi. Non è una partita da segrete stanze e pochi eletti. Il futuro prossimo dell’acqua sarda è destinato ad irrompere, senza preavviso, nei rubinetti e soprattutto nelle mirabolanti bollette dei sardi. Privatizzare o mantenere pubblica la gestione dell’acqua non è questione ideologica, semmai è capitolo fondamentale della vita di ogni sardo, da chi vive in un paese dell’entroterra sino a coloro che occupano le grandi città dell’Isola. Il rischio è dietro l’angolo, celato dal silenzio, scorre nel sottobosco degli affari: un bene essenziale trasformato subdolamente in un affare finanziario, privato e commerciale. Tutto questo in una regione insulare, circondata dal mare, senza fiumi che la connettano con il Continente, senza condotte che trasferiscano acqua dai ghiacciai.

Speculazione insulare

È scontato: affidare la gestione dell’acqua sarda ai “privati”, per giunta stranieri, moltiplicherebbe i pericoli della privatizzazione rispetto a qualsiasi realtà europea o italiana. L’isolamento idrico e idrografico dell’Isola avrebbe un’aggravante ulteriore, quella della “speculazione insulare”. Insomma, si rischierebbe l’effetto “aerei”. La gestione “privata” dei voli, con la sostanziale cancellazione di una vera continuità territoriale, ha generato speculazione, isolamento e tariffe alle stelle. Per l’acqua, bene essenziale più di qualsiasi altro servizio, sarebbe anche peggio. Per “produrla” potabile e costante servono infrastrutture, efficienti e moderne, in grado di “elevare” la qualità e ridurre o contenere il costo del servizio, quello che i cittadini poi devono pagare in bolletta, visto che le tariffe sono la sommatoria di gestione e investimenti infrastrutturali.

Tariffe a rischio

La differenza sostanziale tra la gestione pubblica e l’affidamento privato del servizio è tutta qui: la privatizzazione ha portato ovunque ad un aumento smisurato delle tariffe per l'acqua, visto che le società private puntano sistematicamente a massimizzare i profitti, in pratica a guadagnare sempre di più, e a trasferire i costi aggiuntivi agli utenti attraverso le bollette. Il passaggio è cruciale: da acqua intesa come bene pubblico essenziale a bene da sfruttare commercialmente. A poco servirebbe lo strumento regolatore dell’Autorità d’Ambito dinanzi all’incedere dell’ingordigia idrico-privata tutta protesa a far soldi. Del resto, è scontato che non ci sarà nessuna società per azioni pronta a sposare la causa “Francescana” della “sorella acqua”, o quella gestionale del “Fatebenefratelli”. Verranno a far soldi, per giunta in una terra, la Sardegna, dove il servizio idrico non solo non è migliorato, ma dove si registrano “falle” quotidiane nel sistema, quasi che si fosse pianificato lo sfascio per poter, poi, “invocare”, senza remore, “l’avvento” dei privati. Il concetto, divulgato dai più interessati all’affare privato, è sintetizzabile: dopo il disastro Abbanoa ben vengano i privati. In realtà, il pericolo è dietro l’angolo, visto che Commissione Europea e Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato stanno mettendo sotto i riflettori i prossimi passi del servizio idrico integrato dell’Isola. Un pressing che non lascia adito a dubbi: la gestione dell’acqua sarda deve essere affidata ai privati. Le argomentazioni delle due istituzioni sono emblematiche.

Bruxelles incombe

La Direzione Generale della Concorrenza di Bruxelles non ha fatto altro che richiamare gli “impegni” dello Stato italiano, di fatto proposti dalla Regione sarda attraverso Abbanoa, che imporrebbero al servizio idrico due “obblighi” pesantissimi vergati nel 2013: anticipare la scadenza della gestione pubblica di Abbanoa al 2025, anziché il 2028, e la contestuale gara internazionale per privatizzare il servizio entro il primo gennaio 2026. Lo hanno scritto esplicitamente gli uomini d’Europa. Un capitolo pubblicato nella Gazzetta Europea. Una sorta di “cappio” al collo che la stessa Regione si è inflitta: «La Commissione ritiene pertanto che le misure proposte dalle autorità italiane, che comportano, in primo luogo, la riduzione della durata della concessione, che verrà così a scadere il 31 dicembre 2025 e, in secondo luogo, l'apertura del mercato dei servizi idrici in Sardegna allo scadere della concessione, siano appropriate in considerazione del tipo di distorsione della concorrenza in questione. In particolare, la Commissione rileva che le autorità italiane intendono organizzare una gara aperta, trasparente e non discriminatoria per attribuire la concessione della fornitura del SII in Sardegna a partire dal 1° gennaio 2026, il che consentirà a tutti gli operatori interessati di competere per fornire il servizio in questione (cosiddetta concorrenza "per il mercato")». Come dire, accordata la privatizzazione che “avete” spontaneamente proposto a partire dal 2025.

Fuori norma

Se per l’Europa il vincolo alla privatizzazione è quello sottoscritto da Abbanoa e dintorni, in cambio del via libera ad un “fantomatico” piano di “ristrutturazione” della società idrica sarda, rivelatosi fallimentare sotto ogni punto di vista, sia gestionale che finanziario, per l’Autorità Garante per la Concorrenza i motivi che mettono sotto accusa la gestione “in house”, pubblica e sostanzialmente regionale, vanno ricercati tutti nella “governance” della società idrica e nel suo assetto istituzionale. Anche in questo caso le argomentazioni dell’Autority mirano dritte alle responsabilità delle istituzioni sarde: «Sull’andamento della gestione dal punto di vista economico, la ricognizione evidenzia risultanze negative per il gestore, che ha registrato perdite nell’esercizio relativo al 2022. Inoltre, la qualità tecnica del servizio risulta complessivamente insufficiente per Abbanoa S.p.A., essendo carente dal punto di vista delle perdite idriche e non raggiungendo gli standard di qualità fissati da Arera in relazione alla qualità dell’acqua erogata e all’adeguatezza della fognatura. Mancano, inoltre, indicatori sulla soddisfazione dell’utenza. In proposito, la ricognizione non fornisce chiarimenti né informazioni sulle azioni poste in essere o programmate dal gestore per il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti da Arera». Passaggi decisivi per bocciare la gestione “pubblica” di Abbanoa e avanzare lo spettro della gestione “privata” dell’acqua in Sardegna. Scrive ancora l’Autority: «Peraltro, si rileva che, dalla ricognizione in esame, non si evincono i requisiti previsti dall’ordinamento per la forma di gestione “in house” in relazione alla società affidataria della gestione del servizio». La formula adottata da Agcom è circoscritta al «non si evincono i requisiti», che non significa che non esistano, ma costituisce platealmente un “avvertimento” pesantissimo. C’è di peggio, a proposito del “far niente” delle istutuzioni sarde per evitare la privatizzazione dell’acqua sarda. Nell’atto di “ricognizione” dell’Agcom del 18 marzo scorso è esplicito il concetto: «risulta invece che “non sono in essere procedure di riordino organizzativo dell’ente di governo, con riferimento al quale si sono spesso rinvenute problematiche nelle attività demandate a livello locale in merito all’aggiornamento degli atti necessari a un ordinato recepimento degli obblighi fissati dalla regolazione». Sintesi eloquente: non state facendo niente per evitare la privatizzazione.

Vulnus sulle competenze

E c’è di più nell’atto dell’Autority: «In proposito, l’Autorità ritiene che l’assetto azionario di Abbanoa S.p.A. possa violare l’articolo 4, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 - nella parte in cui richiede che le Amministrazioni pubbliche costituiscano, acquistino o mantengano partecipazioni esclusivamente in società che abbiano per oggetto la produzione di beni o servizi strettamente necessari “per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” - essendo Abbanoa S.p.A. controllata dalla Regione e non rientrando l’organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato tra le competenze regionali». Il passaggio sulle mancate competenze della Regione Sarda nella gestione del servizio idrico, sottolineato dal Garante per la Concorrenza e il Mercato, è di per sé un vulnus pesantissimo. In realtà il Garante compie un’errata generalizzazione tra Regioni che mal si addice alla Sardegna vista la sua prerogativa autonomistica di rango costituzionale.

Costituzione docet

Del resto, è stata la stessa Corte Costituzionale ad acclarare la rilevante diversità tra Regioni ordinarie e Regioni Speciali. Nella sentenza dell’Alta Corte del 29 marzo 2019, che riguarda la potestà regionale della Sardegna in materia di servizio idrico, nel respingere il ricorso dello Stato, si afferma: «Quanto alle regioni ad autonomia speciale, questa Corte ha ripetutamente precisato che la citata giurisprudenza costituzionale “non è immediatamente trasponibile nel giudizio di costituzionalità che investa leggi di queste regioni, nel quale occorre preliminarmente definire l’ambito delle competenze spettanti statutariamente in materia a una regione ad autonomia speciale”». Il messaggio è esplicito: il bene pubblico dell’acqua è anche partita costituzionale-statutaria. Il “dichiarato" impegno regionale alla “privatizzazione”, assunto dalla Regione nel 2013 con l’Europa, senza nessun avallo legislativo, e gli stessi richiami dell’Autority, di fatto confliggono apertamente con lo Statuto sardo, la Costituzione e le leggi regionali. Un contrasto irrisolto che incombe come una “spada di Damocle” sul più importante dei servizi pubblici dell’Isola, quello idrico. Nonostante questo, però, la privatizzazione dell’acqua sarda è alle porte. Avanza a passi rapidi, tra il silenzio e il “far niente” dei Palazzi della politica.

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