Il blitz di Stato ha l’insegna di un cane a sei zampe sul mare del Sud Sardegna. L’operazione scatta nel pomeriggio di mercoledì scorso quando l’Eni comunica ufficialmente alle Borse che intende invadere la costa del Sulcis a colpi di pale eoliche alte 280 metri. Sotto attacco dell’ente di Stato petrolifero c’è lo specchio acqueo davanti al Pan di Zucchero, nella frazione di Nebida e Masua, davanti a Porto Flavia, a ridosso di Carloforte e Portoscuso. Non solo un parco eolico offshore, ma una vera e propria invasione congegnata nel silenzio degli affari eolici che questa volta hanno un protagonista assoluto: lo Stato.

I colossi di Stato

A dare l’annuncio, infatti, è la GreenIT, la società che mette insieme l’Eni e la Cassa Depositi e Prestiti, o meglio il fondo di investimenti della “banca dello Stato” in rapporti con Qatar, Cina, Kuwait, e Kazakistan. Con i due colossi di Stato c’è, però, anche la danese Copenhagen Infrastructure Partners, un fondo di investimenti dislocato nella capitale della Danimarca. La comunicazione è tutta infiocchettata green, con l’illusoria affermazione che queste 42 pale eoliche in mezzo al mare alte quasi come la Torre Eiffel, consentiranno addirittura di incrementare la produzione di energia verde e ridurre emissioni di anidride carbonica fino a 1 milione di tonnellate su base annua. Nel comunicato ufficiale agli investitori, che dopo l’annuncio non si sono emozionati più di tanto, facendo perdere al titolo Eni lo 0,81%, l’ente di Stato arriva persino ad affermare che quelle pale eoliche serviranno a «favorire la crescita dell’industria locale e nazionale».

Ai sardi niente

Peccato che di quell’energia in Sardegna non resterà assolutamente niente, visto che Terna si prepara a realizzare un cavo-guinzaglio che servirà per trasferire quel potenziale elettrico sia in Sicilia che in Campania. Nella nota alle Borse, Eni e Cassa Depositi e Prestiti si dimenticano anche di ammettere che con l’energia eolica, instabile, incerta e non accumulabile, non ci sarà una sola fabbrica che potrà marciare, figuriamoci industrie energivore come quelle del Sulcis. La storia di questo sbarco di Stato appena annunciato, però, parte da lontano, quando il 24 luglio del 2020 l’Unione Sarda pubblicò in esclusiva un progetto presentato da due sconosciuti per la realizzazione di un parco eolico offshore da posizionare nello specchio acqueo davanti alla zona industriale di Portovesme. Che fossero dei precursori mandati in avanscoperta lo si capiva lontano un miglio. Era difficile pensare che società, di fatto anonime, con dieci mila euro di capitale sociale, potessero pensare di realizzare in proprio progetti da miliardi di euro di investimenti.

La rotta dei tonni

In quell’occasione le carte furono tutte secretate, con la balzana idea che qualcuno potesse appropriarsi del copyright tecnologico proposto per realizzare quel campo eolico sulla rotta dei tonni. In realtà i progettisti avviarono anche un procedimento tanto anomalo quanto sibillino tutto proteso a sondare il campo autorizzativo: il Sia, studio di impatto ambientale. Le 42 pale a mare, per una potenza elettrica di 504 megawatt, tanta quanta quella “reale ed effettiva” della centrale elettrica dell’Enel di Portovesme, in effetti erano il primo tentativo di sbarco eolico nel mare di Sardegna attraverso una procedura amministrativa ministeriale, seppur sconosciuta.

Formula anglossassone

Le carte presentate all’allora Ministero dell'Ambiente usavano la formula anglosassone per aprire la costa sarda all’ultimo ritrovato dell'energia eolica: Floating Offshore Wind Farm, ovvero una vera e propria foresta di pale eoliche galleggianti. Un impianto senza precedenti nel Mediterraneo occidentale con 42 aerogeneratori capaci, secondo quanto dichiarano i progettisti, di produrre ognuno almeno 12 megawatt. Ogni pala di queste previste nel progetto, ora dell’Eni e della Cassa Depositi e prestiti, fuoriesce dal livello del mare per ben 160 metri a cui vanno sommati altri 125 metri del raggio dell’elica.

42 palazzi da 95 piani

Tradotto significa 42 palazzi da 95 piani ciascuno, piazzati in mezzo al mare a 35 km dalla costa del Pan di Zucchero, a ridosso di Carloforte, su quella che da sempre è la rotta dei tonni, natanti, navi passeggeri e industriali. Per decantare il progetto si usa anche il parametro del numero delle abitazioni che sarebbero soddisfatte da cotanta energia: 650 mila abitazioni. L’elemento più rilevante di questa nuova operazione blitz sul mare sardo è la totale complicità dello Stato che schiera due dei più potenti soggetti economici pubblici chiamati a realizzare, attraverso la GreenIT, una joint venture tra Plenitude, la nuova società dell’Eni per acqua e gas, e il fondo CDP Equity per la produzione di energia da fonti rinnovabili, e CI IV, fondo gestito da Copenhagen Infrastructure Partners (CIP), per la realizzazione di due parchi eolici offshore galleggianti in Sicilia e Sardegna, per una capacità complessiva di circa 750MW.Ovviamente il più grande e invasivo è proprio quello della Sardegna, il doppio di quello siciliano. Basterebbe questo elemento per comprendere quanto questo progetto è solo funzionale a trasformare l’Isola in una colonia energetica.

Il doppio della Sicilia

La Sicilia, infatti, con una popolazione di 5 milioni di abitanti avrà dal progetto Eni pale eoliche per 250 megawatt, la Sardegna, invece, con un milione e seicento mila abitanti, ne avrà oltre 500. In questa invasione eolica di stampo statalista c’è, però, un elemento che apre uno scenario a dir poco imbarazzante per due colossi come Eni e Cassa depositi e prestiti. Nel comunicato agli investitori, infatti, scrivono: «Ai due progetti contribuiscono, anche in qualità di soci di minoranza, società italiane con provata esperienza nello sviluppo di impianti offshore Nice Technology e 7 Seas Wind per la Sardegna». Un’affermazione rivolta alle Borse che stride non poco con la stessa storia societaria delle due compagini di minoranza, già oggetto di una nostra inchiesta a luglio del 2020. Come e dove nasce questo progetto, infatti, lo si può evincere dalle visure camerali, da nomi e cognomi sconosciuti, società con quattro soldi all'attivo ma con l'ambizione esplicita di guadagnare a piene mani da un investimento da mille e una notte. Il parco eolico flottante nel mare di Sardegna sud occidentale potrebbe costare, secondo i documenti in nostro possesso, un miliardo e 427 milioni di euro. Ogni pala, sulla base del computo metrico, dovrebbe costare 23 milioni e 850 mila euro.

Un miliardo e 252 milioni

Moltiplicando il costo per i 42 grattacieli eolici previsti nel mare del Sulcis si arriverebbe a un miliardo esatto di spesa. Il resto del costo è tutto in cavi, 252 milioni di euro e 45 milioni per realizzare la stazione elettrica offshore. Il piano di investimenti del progetto non lasciava adito a dubbi: cifre stratosferiche totalmente fuori dalla portata della Ichnusa Wind Power srl, la società da dieci mila euro che aveva azzardato presentare quel piano di invasione eolica. Secondo le carte che abbiamo acquisito, a gestire l’operazione è stato Giuseppe Gino Carnevale, che con la sua Ichnusa Wind Power srl, aveva posto come ragione sociale «la creazione e lo sviluppo di Parchi eolici galleggianti per la produzione di energia elettrica». I soci ufficiali del progetto originario da capitale sociale da 10.000 euro sono proprio quelle società che l’Eni cita nella nota ufficiale: la Nicetecnology srl e la 7 Seas Wind power.

Carnevale & Severini

La prima, capitale anch’essa da diecimila euro, fa capo proprio alla famiglia pugliese dell'ingegner Luigi Severini, mentre la seconda ha come socio di maggioranza Giuseppe Gino Carnevale con un capitale versato di ottantamila euro, di cui 60 sono dell’eolico Carnevale, mentre gli altri 20 sono di tale Mr. Botha Theo Nicholas, cittadinanza britannica ma con il domicilio a Auckland, in Nuova Zelanda. Sono loro i progettisti firmatari del colossale parco eolico flottante dell'Iglesiente che ora diventa di proprietà della compagine di Stato. I dettagli e il contesto temporale della proposta lasciano aperti molti dubbi sull'operazione. La Ichnusa Wind srl nasce, infatti il 31 maggio del 2019, senza aver mai realizzato un parco eolico né a terra né a mare.

La domanda

La domanda è semplice: per quale motivo lo Stato, Eni e Cassa Depositi e Prestiti, devono coinvolgere due società che non hanno agli atti alcuna concreta esperienza in materia? Come giustificano gli enti di Stato quella definizione di “società italiane con provata esperienza” per due entità privatissime con capitali miseri e nessuna reale esperienza realizzativa, visto che non risultano realizzati in Italia parchi eolici offshore? Stiamo, infatti, parlando di un progetto, mai approvato, e mai formalmente presentato per un iter compiuto, dove i due soci, ora compagni dell’operazione dell’Eni, avevano versato appena 5 mila euro per accaparrarsi il 50% a testa delle quote azionarie di quel piano eolico a mare. Due minuscole entità, la "Nicetechnology" e la "7 Seas power" , che si dichiarano statutariamente “start up” e che di punto in bianco diventano, invece, protagoniste alla pari di Eni, Cassa Depositi e Prestiti e la Copenhagen Infrastructure Partner dell’invasione del mare del Sulcis. Nel comunicato all’alta finanza l’Eni, la Cassa Depositi e Prestiti e i soci “anonimi e sconosciuti” fissano anche una data per l’inizio dello sfruttamento del vento in quel proscenio esclusivo: entro il 2028 l’invasione eolica davanti al Pan di Zucchero sarà operativa.

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