Etty Hillesum era una giovane donna. Non aveva neanche trent'anni e aveva una grande passione per la lettura, per la poesia e per la filosofia. Etty Hillesum viveva ad Amsterdam, in quel 10 maggio del 1940 quando l'Olanda venne invasa dai nazisti.

Era ebrea, e nel giro di un paio di anni tutti gli ebrei olandesi iniziarono progressivamente ad essere materialmente e psicologicamente annientati da tutta una serie di restrizioni nella vita quotidiana, nel lavoro, nella frequentazione di scuole e università. Dal 29 aprile del 1942 tutti gli ebrei furono obbligati a portare indosso una stella gialla che servisse a riconoscerli e contemporaneamente furono creati i primi campi di lavoro, veri e propri ghetti da dove gli olandesi di origine ebraica iniziarono ad essere deportati verso altri campi, in Polonia e in Germania.

Ogni giorno partivano dei treni e ogni giorno si viveva nel terrore di ricevere l'ordine di partire. Le destinazioni, Auschwitz, Mauthausen, Bergen Belsen, Dachau, erano già tristemente note. Così nel giro di tre anni, dei circa 140.000 ebrei che vivevano in Olanda (80.000 nella sola Amsterdam), ne furono deportati 105.000. Solo 5.000 tornarono a casa vivi.

Etty Hillesum non fu tra i pochi fortunati e avrebbe potuto sparire nelle nebbie della storia, piccola tragedia in quella immane catastrofe che fu la Shoah. Ci ha però lasciato un documento straordinario capace di renderla immortale, il suo Diario da pochi anni disponibile in Italia in versione integrale per i tipi dell'Adelphi (2012, pp. 922).

Perché parliamo di documento straordinario? Soprattutto perché Etty in tutte le sue pagine non permette mai alle brutture che la circondano e che la colpiscono anche personalmente di diventare protagoniste della sua vita, non consente mai che queste dettino completamente i moti del suo animo e gli argomenti dei suoi scritti.

L'invasione nazista, la guerra, le persecuzioni sono presenti nelle sue pagine, ma lasciate volutamente sullo sfondo, perché il diario vuole essere prima di tutto luogo di riflessione per Etty, una testimonianza della sua crescita interiore.

Così leggiamo che questa ragazza frequentava uno psicoterapeuta, del quale si innamorò e al quale sono dedicati molti dei pensieri delle sue giornate. Nelle pagine del diario si legge di lui, del loro rapporto, ma anche dei rapporti con i suoi amici o con la famiglia. Troviamo la quotidianità di una giovane donna che non si vuole fermare in superficie, seguiamo le domande e le risposte che lentamente prendono forma nella sua mente e nel suo cuore, viviamo con lei i moti e le inquietudini dell'animo umano, di ogni uomo ed ogni donna che si ponga delle domande più profonde sul senso dell'esistenza, sui perché che ci portiamo dentro.

La cosa più bella è che le conclusioni a cui Etty arriva sono di una profonda gioia e di una grande positività, e assumono un valore ancora più alto se si pensa all'orrore che quotidianamente doveva affrontare e tollerare intorno a se e su di sé: "Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e 'lavorare sé stessi' non è proprio una forma di individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l'unica soluzione possibile. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra" ha la forza di scrivere il 20 giugno 1942, in piena occupazione nazista.

E quanto più il cerchio si stringe inesorabilmente attorno a lei e a tutti gli ebrei olandesi, tanto più Etty acquisisce forza, consapevolezza di se stessa. E consapevolmente non si sottrae al proprio destino, va volontariamente nel campo di lavoro di Westerbork, per aiutare le persone e per registrare sul suo diario tutto quello che la vita le stava facendo affrontare. Un rapporto della Croce Rossa afferma che Etty morì ad Auschwitz il 30 novembre del 1943, a ventinove anni, e i sopravvissuti del campo raccontano che fino all'ultimo lei fu una personalità "luminosa". Una persona convinta che la vita possa avere comunque e sempre un senso, anche nell'orrore del lager e che si possa"fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati".

© Riproduzione riservata