Nell’aula magna dell’Università statale di Milano era impossibile non individuare al volo Tiziano Terzani, in quella mattina di tardo inverno, inizio primavera del 2002. Alto, capelli e barba lunghi e bianchi come il saio indossato, pareva l’immagine stessa del santone indiano. Bastò però che cominciasse a parlare e il forte accento toscano, anzi “fiorentinissimo” per usare una sua espressione, cancellò immediatamente questa prima impressione.

Erano trascorsi solo pochi mesi dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e Terzani aveva pubblicato da poco un libro che rappresentava una voce autorevole contro la violenza in risposta a una violenza. Un libro oggi di stretta attualità data la stagione che sta vivendo l’Europa: "Lettere contro la guerra” (Tea, 2019, pp. 180, anche e-book).

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Avevo letto tutto d’un fiato quelle “lettere”, alcune delle quali scritte dal teatro bellico dell’Afghanistan e le trovavo forti dal punto di vista etico: “Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità... Dobbiamo cambiare atteggiamento. È il momento di uscire allo scoperto; è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale, molto più che con nuove armi”. C’era però altro, in quelle pagine, qualcosa che mi colpiva con altrettanta forza: la passione dell’uomo, del giornalista e dello scrittore nel raccontare, descrivere i luoghi, le persone, gli incontri, le emozioni, i paesaggi. La passione di conoscere senza per questo necessariamente giudicare.

In quel libro, nato come un pellegrinaggio di pace tra Oriente e Occidente all’indomani dell’intervento militare americano in Afghanistan, vi era l’essenza stessa di Terzani, il suo modo di intendere il rapporto con il mondo che lo circondava e con il “diverso” da sé. Terzani era da sempre in viaggio, da solo, con la semplice compagnia di qualche libro, ma mai solitario, mai totalmente isolato e lontano da ciò che lo circondava. C’era troppo curiosità nelle sue pagine scritte, troppo desiderio di conoscere e capire, di incontrare, quasi con una frenesia che bruciava dentro, che faceva pensare a un Terzani inquieto, depresso nei periodi passati a casa.

Oggi che Tiziano Terzani non c’è più, libri come "Lettere contro la guerra” restituiscono ancora di più il senso pieno del suo modo di intendere il mestiere di giornalista e inviato, diventando testimone dei fatti senza l’assurda pretesa di essere super partes a tutti i costi, né, tanto meno, di accontentare tutti. Soprattutto un libro come “Lettere contro la guerra” ci ricorda, anche alla luce dei conflitti contemporanei, come sia necessario capire, convincersi, credere che l’unica via d’uscita all’odio è la non-violenza.

Per usare le parole scritte da Terzani più di vent’anni fa: “Dobbiamo cambiare noi. Innanzitutto, non facendo più finta che tutto è come prima, che possiamo continuare a vivere vigliaccamente una vita normale. Con quel che sta succedendo nel mondo la nostra vita non può, non deve, essere normale. Di questa normalità dovremmo avere vergogna”.

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