#Dialogo con gli scrittori: il destino non è scritto nella pietra
Il pendio dei noci, un romanzo di amore, guerra e passioni firmato da Gianni OlivaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Primavera del 1918, pochi mesi dopo Caporetto. Il sergente Julien Vertou osserva la neve che ancora ricopre il monte Grappa. Lì dove si è spostata l’ultima linea di difesa italiana dopo la disfatta, gli alpini del battaglione Susa hanno allestito il loro campo. Ma Julien non è uno di loro: negli ultimi sedici anni, la Legione Straniera è stata il suo rifugio e la sua penitenza. Ciò che è stato prima non ha più importanza. Sono perduti i sogni, ed è perduto l’amore, che per una breve stagione gli ha fatto credere di poter inventare il futuro. La guerra che ha conosciuto in Africa aveva un’unica regola: uccidere per non farsi uccidere.
Ma i ragazzi con cui ora condivide la trincea questa certezza non ce l’hanno, molti sanno a malapena imbracciare un fucile. Vengono da montagne in cui sperano di tornare presto, magari da una fidanzata che li aspetta. Come Gildo e Valdo, che insieme non fanno trentasei anni, o Domenico, che ne ha ventidue e da tre combatte e sopravvive. I loro sguardi impauriti iniziano a scalfire la corazza di Julien. Lui non ha nessuno che lo attende, nessun posto che può chiamare casa. Eppure, per quanto si ostini a rinnegarlo, il passato che si è lasciato alle spalle pian piano si riprende la scena. Una parlata familiare, il nome di un torrente, quello di un paese di montanari. Julien ha sempre pensato che il suo destino fosse segnato, che non vi fosse spazio per la felicità, una donna, la normalità. Eppure, sul Grappa, mentre infuria la guerra, in mezzo a soldati stremati dalla paura e dal freddo, Julien sente che un nuovo inizio è possibile anche per lui.
Esordio narrativo dello storico Gianni Oliva, Il pendio dei noci (Mondadori, 2024, Euro19,00, pp. 252. Anche Ebook) è un romanzo corale in cui il racconto degli ultimi, concitati mesi del primo conflitto mondiale si mescola a una intensa e dolorosa vicenda privata.
A Gianni Oliva abbiamo chiesto di introdurci a questo suo primo romanzo.
«Sono due storie che si intrecciano. Nei capitoli dispari, ambientati a fine Ottocento, ci sono le vicende di un orfano, Giuliano, raccolto dal parroco di Coazze, un paese delle Alpi piemontesi: il seminario, la mancanza di vocazione, l’amore adolescente per Maddalena, i contrasti che lo costringono a fuggire in Francia, per poi arruolarsi nella Legione Straniera e combattere vent’anni in Marocco».
E i capitoli pari?
«I capitoli pari sono ambientati nel 1918 sul Monte Grappa, protagonisti un gruppo di alpini dello stesso paese ai quali si aggrega un reparto francese con un legionario che fa da interprete, il sergente Julien».
Giuliano e il sergente Julien sono quindi la stessa persona?
«Sì: e dall’incontro con gli alpini si sviluppa la trama, i conti con il passato, la riscoperta di sé del protagonista».
Perché, dopo tanti saggi storici, la narrativa?
«Per il piacere dello scrivere partendo dalle emozioni, anziché dalla ricerca e dalla razionalità. Ma anche per la convinzione che la letteratura possa avvicinare alla storia meglio dei saggi. Difficile immaginare un giovane che legga una storia della Resistenza, se non per scadenze di esami universitari: ma Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, o Primavera di bellezza di Fenoglio, magari, sì».
Un romanzo che è anche un modo per far conoscere la Grande Guerra?
«Anche. Ma per farla conoscere dal punto di vista degli uomini che l’hanno combattuta, dei ragazzi del ’99 cresciuti nelle tradizioni cattoliche del mondo contadino e proiettati nella furia delle trincee. Che cosa ha voluto dire affrontare il tema della morte? Della morte subita, ma anche della morte inflitta?».
Nel romanzo un soldato più anziano insegna ad una recluta a puntare contro l’onda degli assalitori, ma a sparare chiudendo gli occhi: “Non devi vedere che hai ucciso, altrimenti non dormi più. Lascia che sia la guerra a prendersi la colpa”, dice…
«Ho immaginato tanti dialoghi in trincea, uomini scagliati dalla normalità all’inferno che cercano di salvare il corpo ma anche la coscienza. Valdo, il debole sopraffatto dalla paura, Domenico, quello più solido che impara le malizie della sopravvivenza, il capitano Maglioli, interventista che sente la differenza tra le declamazioni della piazza e la realtà del conflitto; e poi Gildo, Barba, quelli che resistono nella speranza di tornare a casa. La trincea è il caleidoscopio di un’umanità sofferta ma vera».
E le donne?
«Nel romanzo ci sono figure femminili. C’è una donna di montagna, Maddalena, bella, ribelle, genuina e innocente nella voglia di scoprire il mondo nascosto oltre la sua vallata; c’è Doriana, giornalista di inizio secolo, anticonformista, con il gusto di stupire; c’è Ada, figlia della cultura contadina in cui è nata. E, ovviamente, ci sono gli amori, perché nell’amore esplodono le emozioni e nel confronto si cresce, insieme o per contrasto».
E poi c’è il protagonista, Giuliano-Julien…
«Sì, la figura più tormentata e più intensa: un uomo pieno di energia, con i sogni che ha perso, ma anche i ricordi che riaffiorano e piano piano scalfiscono la corazza di legionario».