Intervista a Luca Martera, autore del libro “Harlem - Il film più censurato di sempre”, co-edito nell’aprile 2021 da La Nave di Teseo e Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. 


Lo scorso 25 aprile il premier Mario Draghi, in visita al Museo Storico della Liberazione, ha affermato “Non tutti gli italiani furono brava gente, e non scegliere fu immorale”. Secondo lei nella storia del cinema italiano sotto il fascismo ci fu la “non brava gente”?

"In Italia si passa sempre da un estremo all’altro e da diversi anni è ormai diventato un luogo comune anche quello di dire che non fummo ‘italiani brava gente’ ma tutti fascisti convinti e cattivi. Dall’altro lato della barricata, molti storici non riescono ancora a mettersi d’accordo sulle reali cifre relative alla partecipazione nella resistenza partigiana, per alcuni 10mila, per altri 100mila. In un caso e nell’altro, la questione sul conformismo italico rimane sempre aperta, ovvero su come sia stato possibile che il giorno prima del 25 luglio 1943 fossero tutti fascisti e poi subito dopo fossero tutti antifascisti. Cancellare le tracce, far sparire documenti imbarazzanti e riscrivere ex-post alcuni capitoli della propria gioventù littoria sono tutte specialità in cui si sono cimentati diversi intellettuali italiani ante-25 luglio, tra questi anche numerosi registi, critici e sceneggiatori che hanno cambiato casacca esattamente come fece il 99% degli italiani. C’era una propaganda onnipresente che certamente non faceva trapelare i crimini dell’Italia e del suo esercito nei territori da noi occupati, ma di sicuro molti di questi intellettuali sapevano qualcosa e hanno preferito tacere”.

Il film “Harlem” di propaganda anti-americana subisce modifiche e censure nel dopoguerra, persino eliminando nomi scomodi come Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, fucilati dai partigiani perché accusati di collaborazionismo. Che giudizio ci si può fare leggendo il suo libro?

“Negli stessi giorni in cui vengono giustiziati Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, il principe Junio Valerio Borghese viene portato in salvo dagli inglesi, sottoposto a un processo farsa - come il Maresciallo Rodolfo Graziani - e poi è libero di offrire i suoi servigi all’intelligence dell’ex ‘perfida Albione’. Il contesto geopolitico è ovviamente mutato. Per gli anglo-americani siamo un Paese sconfitto ma occorre pacificarlo con l’amnistia per gli ex fascisti, che possono essere ancora utili nei confronti del nemico sovietico in un clima dove già si respira la Guerra Fredda. Piazzale Loreto a parte, Valenti e Ferida hanno però pagato un prezzo altissimo perché simbolico in quanto attori con la loro esecuzione. Lui stesso disse “vengo condannato dai miei ruoli di cattivo”. Lo stesso presidente di Cinecittà Luigi Freddi teorizzava l’importanza di far passare la propaganda in film d’evasione per far sì che il pubblico continuasse a sostenere il regime senza che gli venisse suggerito esplicitamente. E’ cosa nota a molti storici che l’Italia, dal punto di vista dei mass media e della politica, è da sempre un laboratorio”.

In che senso?

"Siamo passati dal duopolio TV-DC ed editoria-PCI del dopoguerra al partito-TV di Berlusconi post-Tangentopoli e infine al partito-Web di Grillo. Non è affatto scontata questa evoluzione tecnologica, visto che va abbinata a una regressione della conoscenza dei propri diritti e doveri. E questo è un qualcosa davvero di sconvolgente, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

Nel 1943 assistiamo a un filo rosso sangue che lega tre produzioni cariche di razzismo e antisemitismo: “Germanin”, “Harlem” e “Piazza San Sepolcro”. Ci può spiegare di più su questo momento caldo?

“Prima ancora del cinema, il principale megafono dell’antisemitismo e del razzismo durante il regime era la stampa. La rivista ‘La Difesa della razza’ di Telesio Interlandi aveva una tiratura di appena 100mila copie, quindi non ebbe un successo così vasto tra il pubblico, ma servì assolutamente alla causa. Oltre a essa, massiccia era la diffusione di vignette, fumetti e anche di disegni nei quaderni e nei sussidiari scolastici. Per quanto concerne il cinema, in quegli anni tra la fine degli anni ‘30 e l’inizio dei ‘40 il cinema coloniale fascista mostrava agli spettatori un’immagine di superiorità del bianco rispetto agli africani. Mentre infuria la guerra con le prime disfatte dell’Asse, anche i papaveri del cinema fascista decisero nel 1942 che bisognava premere sull’acceleratore della propaganda anti-angloamericana. I tedeschi in Italia hanno però un’idea più ‘nazista’ allestendo un campo di lavoro per uso cinematografico. E questa è una novità assoluta dal punto di vista storico. Tutti conoscevano il campo profughi costruito all’interno di Cinecittà nel 1944, ma nessuno conosceva questo campo di internamento a ridosso di Cinecittà dove vennero trasferiti numerosi prigionieri catturati in Africa. Dai rapporti della Croce Rossa Internazionale si legge che furono trattati bene. Tuttavia, il film a cui prendono parte nasconde orribili retroscena. Il film si chiama ‘Germanin’ e racconta di un medico tedesco che vuole curare gli africani dalla malattia del sonno, provocata da una serie di esperimenti fatti dagli inglesi. E c’è un aspetto tragico della vicenda…”.

Quale?
“I neri con gli arti deformati che vediamo nelle scene iniziali del film sono veri e non sono effetti speciali. Sono l’allucinante risultato di una inoculazione di malattie tropicali su questi poveri attori loro malgrado, ripresi dal regista Max Kimmich - già cognato di Goebbels - negli stabilimenti di Babelsberg, a Berlino. Il resto del film, ambientato nella giungla del Camerun, è girato a Roma, a Cinecittà, dove arrivano direttamente le comparse dal campo di prigionia, le stesse che poi parteciperanno ad ‘Harlem’. Di simbolico e sinistramente cinico c’è che questi sudafricani, sudditi dell’Impero Britannico, vengono chiamati a interpretare dei residenti del quartiere Harlem di New York, ovvero gli eredi di quegli schiavi deportati in America da quelle zone secoli prima”.

E poi c’è “Piazza San Sepolcro”.

“Pochi mesi dopo la fine delle riprese di ‘Harlem’, nel marzo del ‘43 Giovacchino Forzano gira tra Livorno e Pisa quello che è l’ultimo film di propaganda fascista di cui si ha documentazione: ‘Piazza San Sepolcro’. Il titolo è ispirato all’omonima adunata nella piazza di Milano del marzo 1919 durante la quale Benito Mussolini fondò i Fasci di Combattimento dichiarandosi uomo della pace e della fratellanza. Questo film è ritenuto a tutt’oggi perduto. Tuttavia ho un buon numero di prove che mi fanno pensare che il film giaccia in qualche archivio sotto un altro titolo proprio per non essere più ritrovato. Approfondendo la biografia di Forzano, il sospetto è stia facendo una sorta di doppio gioco. Tuttavia questo si potrà capire solo accedendo ad archivi di non facile consultazione, quali sono quelli dei servizi segreti inglesi e quelli della Massoneria, della quale Forzano era membro. Forzano era spiato sia dagli inglesi, sia dall’Ovra, sia dalla Gestapo per via della sua amicizia con Mussolini. Il film sarà ultimato durante il periodo della Repubblica Sociale e nel dopoguerra cercherà di farlo uscire, opportunamente rimontato senza i riferimenti anti-britannici e antisemiti, con il nuovo titolo di ‘Cronaca di due secoli ovvero gli Stati Uniti d’Europa’. Ma non se ne fa niente. Il film viene bocciato in censura da un altro personaggio molto particolare: Giorgio Nelson Page, un italoamericano fascista che si occupava di censura teatrale negli anni 30, divenuto poi censore repubblicano nell’Italia liberata e antifascista”.

Alessandro Matta
 

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