Gli allarmi sono oramai ricorrenti. Ogni volta che vengono pubblicati i dati Istat sulla popolazione italiana emerge come nascano sempre meno bambini e come oramai nel nostro Paese ogni anno ci siano più morti che nati.

Il risultato, al netto dell’immigrazione e anche senza tenere conto dell’aumento della mortalità legata all’emergenza Covid, è che la popolazione italiana sta diminuendo progressivamente anno dopo anno.

Qualche stagione fa superavamo la soglia di 60 milioni di abitanti e oggi siamo scesi a poco più di 58 milioni. Con questi ritmi potremmo arrivare nel giro di pochi decenni con una popolazione dimezzata, di poco superiore ai 30 milioni di individui e in cui gli anziani saranno il triplo dei giovani.

Noi italiani siamo destinati, quindi, all’estinzione? È attorno a questa domanda che si sviluppa l’interessantissimo saggio dello statistico Roberto Volpi “Gli ultimi italiani” (Solferino, 2022, pp. 272, anche e-book). Un saggio che parte dai dati e dalla loro analisi per poi addentrarsi con chiarezza prima di tutto nelle ragioni principali della crisi demografica che l'Italia sta vivendo. Ragioni che Roberto Volpi così ci riassume:

“Le questioni materiali, il lavoro, la sicurezza economica, la casa, e altro ancora contano nella decisione di fare figli? Certo che contano. Ma non quanto pensiamo che contino.  Fossero così decisive di figli se ne sarebbero sempre fatti di più nel ricco nord, e invece se ne sono sempre fatti di più al sud. È il sentimento dei figli che è cambiato.  Erano un ‘prima’, ora sono un ‘dopo’. Aprivano un ciclo – quello dell’adultità, della piena entrata dell’individuo nella società – oggi chiudono un ciclo – quello dell’affermazione di sé. Rappresentavano una spinta per spingersi più avanti, per fare meglio, per conquistare nuove posizioni e traguardi; oggi sono il coperchio da mettere su ciò che si è già conquistato, il traguardo ultimo da raggiungere. In più, in Italia si sono avute una serie di trasformazioni formidabili in un arco brevissimo di tempo, dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta: la liberalizzazione della pillola, il divorzio, il nuovo diritto di famiglia con la piena parità uomo-donna, la legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. È come se non avessimo avuto il tempo di abituarci a un nuovo regime di libertà e laicità dal quale, dal punto di vista procreativo, ci siamo lasciati travolgere, facendo sempre meno bambini”.

Roberto Volpi (foto concessa)
Roberto Volpi (foto concessa)
Roberto Volpi (foto concessa)

Quali rischi comporta per il nostro Paese questo calo demografico? Perché meno italiani non è una buona cosa?

“Una popolazione non è una fotografia. Puoi ridurre una fotografia senza che niente cambi: non le figure, i particolari, i rapporti tra gli elementi. Tutto il contrario in una popolazione. La popolazione è come un organismo: deve compensare le morti con le nascite, perché se ciò non avviene la popolazione si riduce ma riducendosi cambia tutto perché non fanno che diminuire i bambini e i ragazzi e più in generale le classi giovanili d’età mentre, per il continuo aumento della vita media, non fanno che diventare più numerosi gli abitanti delle età più avanzate. Risultato: il continuo invecchiamento della popolazione. Oggi in Italia ci sono 125 abitanti di 70-79 anni ogni 100 abitanti di 0-9 anni, sono cioè molti di più gli abitanti nell’ottavo decennio della vita degli abitanti nel primo decennio della vita. Come se la morte colpisse al contrario, e invece di guardare ad anziani e vecchi cercasse i bambini. Non è così, naturalmente, è che si nasce poco, molto poco, mentre prima si nasceva molto. Però sembra così. E tra trent’anni saranno più numerosi gli abitanti di 80-89 anni di quelli di 0-9 anni: più i veri e propri vecchi di bambini e ragazzi. Come può reggersi una popolazione così?”

L'immigrazione non ci può essere d'aiuto?

“Guardi: i calcoli sono presto fatti. Negli ultimi sei anni la popolazione italiana ha perso 1,5 milioni di abitanti. Al 2070, cioè tra meno di cinquant’anni saremo oltre 12 milioni di meno, circa 47 milioni di abitanti. Dopo di allora si prevedono perdite di abitanti ancora maggiori. E tutto questo avviene nel momento stesso, nello stesso periodo storico in cui abbiamo avuto e ancora abbiamo consistenti flussi migratori dall’estero verso l’Italia. Dunque, l’immigrazione, questo è fuori discussione, non ci salva. Certo, non ci fosse stata l’immigrazione già oggi avremmo perso non 1,5 ma almeno 8 milioni di abitanti, già oggi saremmo cioè attorno ai 50 milioni – dai quasi 61 che eravamo nel 2014. Dunque, l’immigrazione una mano ce l’ha data e ce la darà. Ma non sarà la nostra ancora di salvezza”.

Cosa deve aspettarsi la Sardegna nel prossimo futuro dal punto di vista demografico?

“Queste sono note dolenti perché la Sardegna è forse la regione italiana che sta peggio dal punto di vista demografico. La Sardegna arriverà al 2070 con il 40 per cento degli abitanti in meno. In Sardegna si toccherà nel 2070 un indice di vecchiaia di 500 anziani ultrasessantacinquenni ogni 100 bambini e ragazzi fino a 14 anni compiuti d’età, un valore decisamente superiore a quello di 300 a 100, pure enorme, dell’Italia e impossibile perfino da immaginare. Il fatto è che in Sardegna la natalità è a un livello bassissimo, molto al di sotto di quello italiano che a sua volta è il più basso del mondo. In Sardegna si hanno poco più di 5 nascite annue ogni 1.000 abitanti, un tasso di natalità che comporta letteralmente la sparizione della popolazione sarda in poco più di un secolo. Non dico che sarà proprio così, che della Sardegna non resterà che un deserto. Ma se non si interviene questo è più o meno il destino già scritto della regione”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

È tardi per invertire la rotta? Possiamo fare qualcosa di concreto per evitare la nostra "estinzione"?

“Intervenire per evitare la decadenza, il crollo, se non addirittura l’estinzione della popolazione italiana è tutt’altro che facile. Voglio citare qui solo una linea d’azione da perseguire con grande determinazione, la più decisiva: costruire un mercato del lavoro rivolto espressamente ai giovani, che li favorisca quanto più è possibile anche nell’occupare il prima possibile posizioni stabili e di rilievo. È questa la precondizione perché possa costituirsi il maggior numero di coppie con donne non ancora trentenni o poco più che trentenni che possano agevolmente guardare, anche dal punto di vista biologico, oltre che da quello della sicurezza e della stabilità, al secondo figlio. Solo il secondo figlio, infatti, può salvarci, solo se le coppie saranno tante e faranno più di un figlio potremo sperare di salvarci. In Italia attualmente due donne su tre fanno un figlio o nessun figlio.  Ecco, o ci schiodiamo da qui in tempi brevi, brevissimi, o diciamo addio all’Italia”.

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