I misteri dell’isola dimenticata
Nel libro di Anna Vivarelli e Guido Quarzo una storia sulla lontananza e sull’isolamento che costringono ognuno di noi a fare i conti con se stessoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Anno 1914: in Europa soffiano venti di guerra. Una tempesta distrugge la nave Zeus diretta in Brasile. Una piccola scialuppa con a bordo due ragazzi e una ragazza resiste alla furia delle onde e approda sulla spiaggia di un’isola sperduta. L’equipaggio è composto da Isabella, sveglia e intraprendente, da suo fratello maggiore Giacomo, timido e malvisto a causa dei suoi numerosi tic, e dal giovane mozzo franco-genovese Lucas, abituato sin da bambino a sopravvivere anche nelle condizioni più dure. Sono loro i tre protagonisti de “L’isola dimenticata” (uovonero, 2024, pp. 176), romanzo per ragazze e ragazzi scritto a quattro mani da Anna Vivarelli e Guido Quarzo e disponibile, grazie alla collaborazione con Emons, anche in audiolibro narrato da Stefano Guerrieri e scaricabile tramite un QRcode inserito nel libro cartaceo.
Sbarcati sull’isola, sede di una prigione fino a poco tempo prima, i tre naufraghi scoprono che non è affatto disabitata, ma popolata da un gruppo di strani personaggi, cinque uomini e una donna, una sparuta colonia guidata da un sedicente Governatore. Ciascuno di loro si è creato una seconda vita e una nuova identità. I ragazzi conosceranno a poco a poco i motivi che li tengono nascosti in quel luogo lontano da tutto: un piccolo paradiso circondato dal mare dove si può essere liberi o prigionieri, a seconda dei punti di vista.
Metafora dell’adolescenza e racconto sul desiderio di costruire o ri-costruire il proprio destino, “L’isola dimenticata” è un romanzo con molti richiami ai classici della letteratura e del teatro.
Ad Anna Vivarelli chiediamo allora quali sono state le fonti di ispirazione del libro:
«Certamente "L’isola dimenticata” deve molto alle nostre letture, ma, come sempre ci succede, queste fonti letterarie le scopriamo a posteriori, quando la storia è finita e riflettiamo sul nostro lavoro. Il primo titolo che viene in mente è Robinson Crusoe di Defoe, ma soltanto per il topos letterario dell’isola deserta. Molto più presente è L’hôtel del ritorno alla natura di Georges Simenon, che ci aveva colpiti soprattutto perché era ricalcato su una serie di crimini misteriosi realmente accaduti sull’isola di Floreana nel 1934. Ma nei ragazzi viziati e inetti che diventano adulti grazie a un naufragio c’è sicuramente l’eco di Capitani Coraggiosi di Kipling e de L’isola misteriosa di Verne. Nel tentativo di autogovernarsi su un’isola lontana, il riferimento immediato è a Il signore delle mosche di Golding. Ma il gioco di inganni e di ruoli tra personaggi che sembrano recitare un copione scritto da loro stessi rimanda al teatro di Pirandello. Dunque, L’isola dimenticata, per suggestioni, echi o perfino contrapposizioni, è certamente nata dalla nostra esperienza di lettori, ma non più e non diversamente da altri nostri romanzi».
Possiamo considerare il vostro come un romanzo di formazione?
«Senza dubbio: l’isola è una evidente allegoria della società, il grande palcoscenico del mondo dove ognuno interpreta il ruolo che si è scelto. Lucas, Giacomo e Isabella assistono allo spettacolo, vi partecipano ma al tempo stesso non ne fanno mai del tutto parte. L’isola rappresenta il mondo adulto in cui i ragazzi entrano, anzi naufragano, e faticosamente conquistano un’identità. È un mondo incerto, pericoloso, che non smette mai di tremare e sembra destinato a esplodere».
Cosa divide i personaggi di Isabella e Lucas da quello di Giacomo?
«Inizialmente i due fratelli sono separati da Lucas da una barriera invalicabile fatta di ricchezza, educazione, ceto sociale, tutte cose che sull’isola non hanno più alcuna importanza. E mentre Isabella e Lucas scoprono pian piano un modo superare quella barriera e avvicinarsi, Giacomo viene assimilato dalla piccola società dell’isola perché nel mondo di prima non è mai stato accettato».
L'isola per i tre protagonisti è una possibilità o un'esclusione dal mondo?
«Entrambe le cose. Per Lucas è l’ennesimo nascondiglio, ma anche il luogo che finalmente gli permette di scoprire che non desidera più nascondersi. Per Isabella rappresenta l’opportunità di diventare più forte e provare a scegliere il proprio futuro: per questo oscilla tra la tentazione di restare e quella di fuggire. Per Giacomo, che a causa della sua sindrome è sempre vissuto da emarginato, l’isola rappresenta la libertà, e in questo si rivela molto simile agli abitanti dell’isola».
Una curiosità: come riuscite a lavorare a quattro mani? Avete un metodo prestabilito?
«Più che di metodo, si può parlare di consuetudine. Una nostra storia a quattro mani nasce in primo luogo dalle chiacchiere e dallo scambio di idee, a partire da qualcosa che abbiamo letto o che ci ha colpito. Poi comincia la fase della documentazione: per L’Isola dimenticata, ad esempio, clima, vegetazione, piroscafi. Ognuno la fa per conto proprio e insieme si costruisce un grande file di dati. Quando passiamo alla pagina, però, scriviamo insieme sempre, dalla prima riga all’ultima. In pratica, riscriviamo modificando, aggiungendo o cancellando l’uno le pagine dell’altra. Lo facciamo usando un sistema di colori che è noioso da spiegare ma che per noi, ormai, è quasi automatico. E naturalmente, mentre la storia procede, discutiamo sull’evoluzione della trama, sui colpi di scena eccetera. Facciamo a parole ciò che ogni scrittore fa nella propria testa quando lavora da solo. Ciò che ci sembra importante è che le storie scritte insieme hanno una voce terza, come se nascesse uno scrittore che non è sovrapponibile a nessuno di noi due».