Anche la Sardegna ha la sua festa di Halloween, una tradizione di oltre 2mila anni che si mantiene soprattutto in Barbagia e si è andata modificando nel tempo senza mai scadere nello sfrenato consumismo che caratterizza invece la tradizionale festa nordica.

Conosciuta come “Su mortu mortu” (ma a seconda delle zone si chiama anche “Is Animeddas” o “Peti Cocone”) ha come protagonisti i bambini: un rito pagano simile a quello che era Halloween per i popoli nordici.

Sono sempre i più piccoli, il primo o il 2 novembre, ad andare di casa in casa per le vie del paese o negli esercizi commerciali per chiedere una piccola offerta “pro su ‘ene ‘e sas animas” (per le anime). La richiesta non è “dolcetto o scherzetto”, ma è sempre e rigorosamente in lingua sarda: “Seus benius po is animeddas”, “Seu su mortu mortu”, “Peti cocone”, “Su pane su binu”.

Qualunque sia la formula utilizzata, la tradizione è sempre la stessa e nasce dalla convinzione che ogni anno, il giorno dei morti, i defunti tornino nelle case in cui hanno vissuto a mangiare. E si nutrono proprio tramite i bambini, che sono i loro “messaggeri” e sin dalle prime ore del mattino si riuniscono e iniziano il giro delle case bussando a tutte le porte. “Su mortu mortu”, rispondono alla domanda “Chi è?”, e il proprietario, che spesso si prepara dal giorno prima, si fa trovare pronto. Prima si donavano frutti di stagione, frutta secca, dolci, pane, ora i doni sono più “moderni” e in molti offrono merendine, cioccolate, caramelle.

Un via vai di bimbi gioiosi che, a fine giornata, svuotano il sacco e dividono i doni ottenuti.

Un tempo, per nutrire i defunti, si lasciava la tavola imbandita la notte della vigilia. E a fine serata attorno al camino i grandi raccontavano storie ai più piccoli. Magari, nel cuore della Barbagia, qualche famiglia lo fa ancora.

(Unioneonline/L)

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