Un’occasione di unità fallita – 3

In tutto l’arco della nostra Storia, dall’inizio ad oggi, la vera, grande, occasione di noi Sardi di unirci tutti insieme per creare un unico Stato sovrano completamente nostro, è stata verso 900 dopo Cristo.

La Sardegna era, allora, una terra isolata in mezzo al Mediterraneo occidentale in balìa degli Arabi magrebini già in possesso di quasi tutta la Penisola iberica, delle Baleari e della Sicilia. L’impero bizantino di cui facevamo parte era lontano, e non più in grado di governarci. Quindi, eravamo finalmente liberi di agire con in mano il nostro destino.

Divisi in quattro – E invece, cosa facemmo? Ci dividemmo in quattro Stati sempre in guerra fra loro, grandi ciascuno quanto il territorio delle vecchie Province storiche del secolo scorso. Lo Stato di Càlari si costituì a sud, lo Stato di Torres a nord, lo Stato di Arborèa al centro e lo Stato di Gallura all’est. Una situazione che durò per più di due secoli fino alla seconda metà del 1200 per Càlari, Torres e Gallura che si uccisero reciprocamente, e per quasi cinque secoli per quello di Arborea terminato nel 1420 sconfitto dal nuovo Regno di Sardegna catalano-aragonese.

Regni e non Giudicati – Erano tutt’e quattro Stati sovrani costituiti in Regni che gli sprovveduti storiografi locali continuano a chiamare “Giudicati”, retti da “re” chiamati dalla storiografia tradizionale sarda “giudici”, quasi fossero odierni magistrati giudicanti della nostra attuale Corte Suprema di Cassazione, o “giudicesse”, se donne, come, ad esempio, la nota giudice napoletana Ilda Bocassini; di modo che tutti i peninsulari che stupidamente ci denigrano continuino a pensare che fin dall’alto Medioevo eravamo banditi, gente rozza e crudele, delinquenti incalliti e inveterati rei da giudicare e condannare con pene severissime.

Regni belli all’interno – Chi, invece, conosce un po’ di storia medievale europea, tanto magnificata nei manuali scolastici e riecheggiata nei mass-media nazionali, e confronta fra di loro gli Stati continentali del tempo, quasi tutti a regime feudale, rimane stupito dell’organizzazione interna dei regni giudicali sardi molto più avanzata, ad esempio, dei regni iberici o britannici, nell’ordine sociale e nelle istituzioni, tutt’altro che elementari. Nelle decisioni politiche affiancava il Re un Parlamento, chiamato “Corona de Logu”. Il territorio di ciascuno Stato era diviso in “curatorie” una sorta di circoscrizioni elettorali che votavano i propri rappresentanti sia al Parlamento che nelle “Coronas de Curadorìa”, i tribunali di prima e di seconda istanza. Ogni Stato sardo aveva il proprio codice di leggi civili e penali (Cartas de Logu) avanzatissime nelle norme del Diritto. Aveva Scrivanie centrali e periferiche per redigere, su pergamena e su carta, lettere, documenti, verbali e registri. Aveva propri notai a dar fede agli atti sia pubblici che privati. Aveva una Corte di alti funzionari, fra cui il maiore de camera (= maggiordomo), al quale era affidato il palazzo regio, l'armentariu de logu o de rennu (= collettore statale) che dirigeva l'esazione dei tributi; il maiore de caballos che, oltre a curare la cavalleria e le torme equine dello Stato, organizzava le cacce collettive a scopo ecologico ed alimentare.

Il difetto – E allora, mi direte, se gli Stati medievali sardi erano così tanto perfetti, dove sta il difetto? Dove sta l’errore della Storia? Sta nel fatto che essi erano sempre in conflitto fra loro. Il suddito di uno Stato seppur vicino era “… unu sardu de fora”, un forestiero: e lo combatteva, e, per vincerlo, faceva alleanze esterne, chi con la Repubblica comunale di Pisa, chi con quella di Genova. Insomma, da Sardi disuniti e dissennati abbiamo fatto entrare nuovamente “l’esititzo”, lo straniero, per risolvere i nostri problemi interni. E l’abbiamo pagata cara perché Càlari, Torres e Galluta terminarono prematuramente la loro esistenza. Arborea più tardi, ma per la stessa ragione.

Francesco Cesare Casula

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