«Mia cara mamma e fratelli da tanto tempo non avete mie notizie, ma spero che questa lettera vi arrivi presto. Ho lasciato l’Asinara ma sono rimasto in Sardegna. Faccio lavori di strada e canalizzazioni». Parole scritte nella sua lettera inedita dal soldato Fred Heidl, uno dei prigionieri austro-ungarici deportati nel campo di prigionia allestito all’Asinara durante la Grande Guerra.

Fred, originario della Sassonia, nella sua missiva inviata alla famiglia racconta la nostalgia, il bisogno del denaro e del cibo per sopravvivere, la richiesta delle sigarette, la paura della malaria e della spagnola per i suoi cari. A leggerla è stata la studiosa Giovanna Zichi dell’associazione culturale “20mila passi nel vento” che ha curato il progetto “20 Mila passi nel vento: l’eco del passaggio dei prigionieri austroungarici sull’isola, durante la Grande Guerra”, una iniziativa presentata nella sede dell’Ente Parco Nazionale dell’Asinara e voluta da Paola Fontecchio, vicepresidente dell’associazione culturale A.gu.a.

La lettera di Fred Heidl, soldato dell'esercito austroungarico (foto Pala)
La lettera di Fred Heidl, soldato dell'esercito austroungarico (foto Pala)
La lettera di Fred Heidl, soldato dell'esercito austroungarico (foto Pala)

Attraverso la lettura delle lettere di Fred Heidl, è stato possibile ricostruire la sua esperienza di prigioniero e i particolari momenti vissuti prima all’Asinara e poi in altri luoghi dell’Isola. Notizie che si sono intrecciate con i racconti pervenuti dal cuore dell’Europa e quelli vissuti dal soldato durante il lungo periodo di prigionia. I documenti d’archivio e il materiale epistolare presentato dai relatori intervenuti al convegno hanno permesso di fare un passo indietro nella storia e di ricostruire pagine inedite sul dramma di migliaia di prigionieri austroungarici, arrivati all’Asinara tra il 1915 e il 1916, e sullo straordinario sforzo compiuto in quel luogo per apprestare uno dei più grandi campi di prigionia, attrezzato per accogliere inizialmente poche migliaia di internati che invece raggiunsero la cifra di oltre 20mila.

La storia di questi uomini è stata raccontata in molti libri ma pochi conoscono alcuni risvolti, inseriti in quelle lettere. Quei ragazzi, prigionieri di guerra come Fred, lasciarono significative tracce in terra sarda, infatti furono impiegati anche come forza lavoro, contribuendo a realizzare opere come la diga di Santa Chiara a Ula Tirso. «La voce di Fred credo possa essere considerata la voce dei tanti uomini prigionieri in tutti i luoghi di internamento conosciuti», ha sottolineato Giovanna Zichi. Alla presenza del direttore del parco, Vittorio Gazale, tutti i relatori, ciascuno con approfondimenti personali, talvolta esclusivi, durante il convegno hanno consentito, attraverso la narrazione, i documenti e le immagini, di scoprire ciò che di quella storia, in alcuni casi, non è stato ancora raccontato. Dalle cause che hanno fatto scatenare la prima guerra mondiale, illustrate dal tenente colonnello Pasquale Orecchioni, direttore del Museo Storico della Brigata Sassari, al conflitto in area Balcanica, con la Serbia e la sua ritirata a Valona, descritte da Davide Pegoraro, guida storica che opera sul Monte Grappa. Sono intervenuti anche Giuseppe Zichi, ricercatore in storia moderna e contemporanea, Franz Brunner Pozzi, guida alpina storica che opera sui sentieri dolomitici della Grande Guerra, e Federica Puglisi, direttore dell’archivio di Stato di Sassari.

Prezioso il contributo del graduato aiutante Antonio Ledda, in servizio presso il Museo Storico della Brigata Sassari, e del colonnello Mauro Scorzato, ex direttore del Museo storico della Brigata Sassari che ha raccontato della grande operazione umanitaria dell’esercito italiano. Quei soldati ridotti pelle e ossa erano i reduci dalla “marcia della morte” nei Balcani, dopo due mesi a piedi nella neve dalla Slovenia sino a Valona in Albania. I 24mila sopravvissuti dei 70mila catturati dall’armata serba furono trasportati all’Asinara con il primo ponte navale umanitario della Marina italiana.

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