Recentemente su L’Unione Sarda è stata ricordata la vicenda del Professor Teodoro Levi, straordinario di Archeologia presso l’Università degli Studi di Cagliari e grande maestro di altrettanti grandi intellettuali e custodi del nostro patrimonio archeologico a cominciare da Giovanni Lilliu, che fu costretto a lasciare il capoluogo e l’Italia divenuta territorio ostile per gli ebrei per trovare rifugio a New York.

L’augurio è che la Municipalità di Cagliari sappia, in queste settimane, ben ricordarsi di vicende come questa, attribuendo a Doro Levi la giusta posizione nella memoria storica della città.

Tra le tante vicende, forse ai più sconosciute, e sulle quali anche in questi casi la sensazione di “damnatio memoriae” è imperante, ce n’è un’altra che trova un collegamento collaterale con quella del Professor Levi: quella di Renato Salinas.

Nell’Archivio di Stato di Cagliari, nel ricco fondo della Questura-Prefettura che va dal 1938 al 1943 e intitolato “Ebrei”, che è sicuramente la ricca base documentaria dalla quale partire per ogni ricerca che miri a ricostruire le vicende degli ebrei in Sardegna negli anni della persecuzione, compare, all’anno 1941, con la data del 19 dicembre, una lettera inviata alla Prefettura di Cagliari dalla Questura, nella quale si indica che “l’ebreo Salinas dott. Renato di Giuseppe e Levi Olga, nato a Il Cairo d’Egitto il 7-9-1905 e residente a Cagliari, viale Regina Margherita 16, Architetto aggiunto presso la locale Soprintendenza alle antichità e belle arti, al gennaio 1939 ha lasciato questa città dirigendosi a Roma, da Roma si è diretto a Londra e poscia a Shanghai. Queste notizie sono state fornite dalla locale regia Soprintendenza che le ha apprese da amici del Salinas cui sono pervenute delle cartoline illustrate dal detto individuo”.

Il personaggio del quale si parla in questo documento è appunto Renato Salinas, la cui vicenda è veramente emblematica e incredibile.

Il documento della Questura di Cagliari del 19 dicembre 1941 in cui il Questore dichiara che Renato Salinas si trova a Shanghai dal 1939 (Archivio di Stato di Cagliari)
Il documento della Questura di Cagliari del 19 dicembre 1941 in cui il Questore dichiara che Renato Salinas si trova a Shanghai dal 1939 (Archivio di Stato di Cagliari)
Il documento della Questura di Cagliari del 19 dicembre 1941 in cui il Questore dichiara che Renato Salinas si trova a Shanghai dal 1939 (Archivio di Stato di Cagliari)

IL GHETTO DI SHANGHAI – Salinas era architetto che si trovava in servizio dal gennaio 1938 a Cagliari come aggiunto alla Regia soprintendenza delle opere d’arte di antichità della Sardegna (a seguito di superamento di concorso e con giuramento prestato nelle mani di Teodoro Levi), e la sua “fuga” da Cagliari fino a Shanghai è da ricollegarsi alle vicende della Cina e dei numerosi ebrei confluiti, proprio a fine anni ’30, in questa città, che sembrava essere veramente l’unico luogo dove ancora si potessero salvare dalle persecuzioni. Tuttavia, Shanghai era sotto occupazione nipponica dal 1937 e, nella città di Shanghai dove confluivano anno dopo anno tantissimi profughi ebrei specialmente dall’Europa dell’Est, le autorità giapponesi istituirono nel 1937 un quartiere residenziale per ebrei, da alcuni storici chiamato “Il ghetto di Shanghai”.

Si trattava di un quartiere non paragonabile ai ghetti nazisti come quello di Varsavia, nessuno da Shanghai fu deportato nei campi di sterminio. Le autorità giapponesi filonaziste non consegnarono mai gli ebrei ai nazisti nonostante venisse loro ripetutamente richiesto, e ciò anche grazie allo stratagemma di Shimon Sholom Kalish, rabbino internato nel Ghetto di Shanghai che convinse il governatore militare giapponese che il popolo ebraico era così odiato dai nazisti in quanto “di origine orientale”.

Tuttavia vari documenti storici concordano sulle precarie condizioni di vita in questo quartiere, specialmente a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1941, quando nel ghetto vennero soppressi gli invii di diversi aiuti umanitari che giungevano dagli Stati Uniti per mezzo del Congresso Mondiale Ebraico. La rappresentante del JDC (American Jewish Join American Distribution comittee) Laura Margolis, arrivata a Shanghai, tentò di stabilizzare la situazione ottenendo dalle autorità giapponesi il permesso di continuare la sua attività di raccolta fondi, rivolgendosi per aiuto agli ebrei russi che erano arrivati prima del 1937 ed erano esentati dalle nuove restrizioni. Il ghetto di Shanghai venne liberato dall’esercito di liberazione cinese di Chiang Kai Shek il 3 settembre 1945.

Una giacca militare e due libri di preghiere ebraiche che un soldato statunitense di religione ebraica regalò a Salinas e alla famiglia al momento della liberazione il 17 agosto 1945. Sono stati esposti in occasione di una mostra sulla Shoah a Ottawa nel 2020
Una giacca militare e due libri di preghiere ebraiche che un soldato statunitense di religione ebraica regalò a Salinas e alla famiglia al momento della liberazione il 17 agosto 1945. Sono stati esposti in occasione di una mostra sulla Shoah a Ottawa nel 2020
Una giacca militare e due libri di preghiere ebraiche che un soldato statunitense di religione ebraica regalò a Salinas e alla famiglia al momento della liberazione il 17 agosto 1945. Sono stati esposti in occasione di una mostra sulla Shoah a Ottawa nel 2020

L’INTERNAMENTO – Tuttavia, relativamente a Renato Salinas, la sua vicenda assume, con un incrocio sia tra la sua stessa testimonianza, rilasciata in modo impersonale dopo il suo ritorno in Italia nel 1948, e la documentazione raccolta da altri storici nelle ricerche in merito ai rifugiati ebrei e ai civili deportati in Cina tra il 1939 e il 1945, un ulteriore, purtroppo peggiore, sviluppo. Renato Salinas, infatti, subì per tre anni l’internamento nel campo di concentramento giapponese di Weihsien (Wexen), una località sita nella provincia di Shandong, in Cina, operativo dal marzo 1943 all’ottobre 1945 e che vide l’internamento di oltre 2200 internati civili provenienti da: Russia, Cina, America, Gran Bretagna, Belgio,  Olanda, Italia. Il campo venne liberato dagli americani il 17 agosto 1945.

Dalla scheda di internamento di Renato Salinas, oggi consultabile nel database online dell’internamento civile in Cina da parte dell’esercito del Giappone, si evince che all’epoca Renato Salinas era impiegato presso la compagnia ED Sassoon & Co. Una compagnia anglo-indiana. Insieme a lui, nello stesso periodo, risultano internati anche altre persone della famiglia Salinas: Armando Salinas, di 32 anni, Eve Salinas di 24 anni (moglie di Armando) e la loro figlia di soli 2 anni Liliana. Si tratta del fratello di Renato, anche lui presente a Shanghai negli anni della Shoah. Analizzando ulteriore documentazione, questa volta conservata presso la stessa famiglia Salinas a Ottawa, Canada, si scopre che Armando con tutta la famiglia, e così anche Renato, si trovavano a Shanghai ma, grazie al mantenimento della loro cittadinanza italiana, erano potuti restare fuori dal quartiere del ghetto di Shanghai. Cosa che invece non era successa al resto della famiglia della moglie del fratello Renato, rinchiusa nel “ghetto” per stranieri della città. Vennero arrestati nell’ottobre 1943 dai giapponesi come appartenenti ad una nazionalità ormai nemica dell’asse e quindi deportati a Weihsien. Dopo la liberazione, Armando con la moglie e la bambina rimasero ancora in Cina per tre anni, per poi scappare dalla dittatura comunista di questo paese per raggiungere Ottawa, in Canada, nel 1948.

Il monumento della liberazione del campo di Weihsien
Il monumento della liberazione del campo di Weihsien
Il monumento della liberazione del campo di Weihsien

IL RITORNO – Renato, invece, tornò in Italia, ma poco parlò di quelle esperienze e soprattutto dei due anni in un campo di concentramento giapponese, esperienza che comunque lui disse sempre come molto dolorosa. Possiamo solo immaginare il trauma di scappare da una persecuzione antisemita in un luogo per poi ritrovarsi internato in un lager da parte di un esercito collaboratore dell’asse nel conflitto, certo non come ebreo, ma come cittadino di un Paese ex alleato che lo aveva allontanato dalla vita sociale e professionale come “cittadino di serie b”: una sorta di incredibile beffa della storia.

Alla sua morte, avvenuta circa vent’anni fa, erano presenti poche persone.

E’ necessario che la Municipalità di Cagliari renda giusta memoria a tutte queste persone e a tutte queste vicende, magari con una targa o una pietra di inciampo davanti ai loro vecchi indirizzi. Anche la più recente didattica della Shoah insiste molto sul dovere di partire dal locale e poi arrivare alla storia nazionale ed europea, per creare quell'empatia che rende consapevoli di quanto questa sia la “nostra” storia.

Alessandro Matta

(direttore Associazione Memoriale Sardo della Shoah)

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