L'Italia di Andrea Scanzi - giornalista e scrittore controverso, o lo ami o lo odi - è segnata da due tappe fondamentali: la morte di Enrico Berlinguer e l'ultima corsa Marco Pantani. Sono vent'anni: dal 1984 al 2004.

Da allora il Paese è andato fuori giri, ha rallentato, perso definitivamente slancio: "Per farlo ripartire ci vorrebbe un nuovo leader, ma non Renzi, un giovanotto all'anagrafe ma con lo spirito di un vecchio democristiano".

Una nuova classe dirigente, "ma competente", che inforchi questa bicicletta sgangherata su cui viaggiamo, si issi bene sui pedali e ci porti su, su, in uno scatto d'orgoglio rabbioso come uno scatto in salita: uno strappo del Pirata.

"Il sogno di un'Italia" arriva a Cagliari il 20 maggio, al Teatro Massimo, ore 21, per la regia di Angelo Generali. È uno spettacolo in cui Scanzi - in attesa dell'uomo nuovo (un mix tra Fanfani e Alessandro Di Battista, tra esperienza e onestà, competenza e innovazione) - scatta impietose diapositive sulla contemporaneità. Quello che vien fuori è una fotografia, sineddoche di ciò che siamo diventati. Dall'edonismo che ha attraversato gli anni Ottanta al sangue che ha bagnato il G8 di Genova, scorrono sulla scena i fotogrammi di due decenni che potevano cambiare l'Italia e non l'hanno cambiata. O forse l'hanno addirittura peggiorata.

Scanzi, ci racconta lo spettacolo?

"Quella di Cagliari sarà l'ultima tappa del tour, che segna anche la fine, seppur temporanea, della mia collaborazione con Giulio Casale, coautore dello spettacolo. Abbiamo vissuto in simbiosi gli ultimi quattro anni: ora ci fermiamo un po'. Anche perché quella del Massimo sarà una stazione importante, della mia vita e della mia carriera. "Il sogno di un'Italia" è il ritratto di un paese attraverso storie, istantanee e canzoni: da Bennato a Fossati, da Gaber a Battiato, da De Gregori a Jeff Buckley, percorreremo un viaggio che dal sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino arriva alle parole disilluse di Mario Monicelli, "la speranza è una trappola", passando per quei fratelli maggiori che se ne sono andati troppo presto: Massimo Troisi, Ayrton Senna, il Pirata di Cesenatico. Con loro abbiamo gioito e abbiamo pianto".

Cosa accomuna Berlinguer a Pantani?

"Ne "Il sogno di un'Italia" c'è la politica che non riesce più a generare appartenenza; ecco che allora l'arte - la musica, il cinema, la letteratura, il giornalismo, lo sport - diventano qualcosa che sostituisce la politica e dunque forse militanza. Siamo passati dal sogno di Berlinguer alla trasposizione delle nostre speranze nelle imprese di Pantani, attraverso un fil rouge di emozioni e di speranze".

Però la politica esiste ancora: cos'è diventata, oggi?

"La mia generazione è andata al potere, ma non ha mantenuto la promesse. I quarantenni assomigliano troppo ai loro padri. Hanno tradito la voglia di cambiamento, le loro politiche sono le stesse, neo liberiste, dei predecessori. Ha ragione Ken Loach: nessuno si fa più carico della disperazione dei poveri e degli ultimi. Avremmo dovuto cambiare, dopo Mani pulite; ce la siamo presa comoda".

Le piace Renzi?

"Certo che no: Renzi ha poco talento e incarna le idee che hanno ammassato gli anni Novanta. Dopo le stragi che hanno ucciso Falcone e Borsellino abbiamo avuto Berlusconi. Renzi gli assomiglia troppo".

Che poster teneva, in camera, da bambino, e quale c'è adesso?

"Allora ne avevo due: Marco Van Basten e Pink Floyd. Oggi ne ho tre: Roger Waters e Rosario Isabel Dawson stanno bene, accanto al poster di Andera Scanzi".

I Cinque Stelle sono una speranza?

"Io sono stato il primo a cogliere la novità dei Cinque Stelle: ne avvertii la forza già nel 2008, con i Vaffaday, e ne anticipai l'ascesa. Oggi le realtà politiche sono tre: Renzi rappresenta una finta sinistra che ha adottato le peggiori idee del neoliberism. Picerno, Madia, Bonafè, fanno rimpiangere la Carfagna, che al loro cospetto pare Nilde Iotti. Il centrodestra, che di certo è altro da me. Poi ci sono i Cinque Stelle. Se sono quelli che hanno eletto la Appendino, dico che possono governare l'Italia. Se sono i complottisti alla Sibilia, dico di no".

Rimpiangeremo Fanfani, dunque?

"In un certo senso sì. Non è un caso che in questi anni sia stato proprio Ciriaco De Mita il peggior avversario di Renzi. Servirebbero politici preparati e onesti, e uno scatto in avanti. Vede, Ferruccio Parri e Mario Monicelli concordano su un fatto: quest'Italia non ce la può fare perché non sa cambiare. Io so che hanno ragione, ma chiudo con un auspicio: sarebbe bello dargli torto".

Guido Garau
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