Il prossimo 5 novembre donne e uomini degli Stati Uniti sceglieranno il nuovo presidente americano consegnando per quattro anni il governo del loro Paese a Donald Trump oppure a Kamala Harris. Chiunque dei due vincerà dovrà fare i conti con una nazione in profonda crisi, divisa dal punto di vista culturale e politico come non lo è mai stata dai tempi precedenti alla Guerra civile scoppiata nel 1861. Decenni d’impoverimento delle classi meno abbienti, l’aumento delle diseguaglianze, la fatiscenza delle infrastrutture statali, il decadimento della scuola pubblica hanno, infatti, minato la fiducia degli americani nelle istituzioni federali.

Lo storico Gary Gerstle nel suo illuminante saggio “Ascesa e declino dell’ordine neoliberale” (Neri Pozza, 2024, Euro 24,00, pp. 400, anche e-book) ci aiuta a capire come e perché la crisi statunitense, che ha effetti profondi su tutto l’Occidente, non è il frutto di eventi contingenti: è una profonda crisi di sistema. La crisi delle democrazie occidentali, schiacciate da disuguaglianze di reddito e disparità sociali, leadership populiste e ondate di etnonazionalismo, è il segno più evidente di una frattura nell’ordine politico che da decenni domina il mondo: l’ordine neoliberale, che ha preso forma negli Stati Uniti degli anni Settanta e Ottanta del Novecento e da lì ha conquistato e trasformato l’intero pianeta seguendo come un mantra lo slogan “libertà al mercato!”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Sono noti, infatti, i principi economici del neoliberalismo: Stato minimo e libero scambio; libera circolazione di capitali, merci e persone; privatizzazione e deregolamentazione; globalizzazione dei mercati come fattore di prosperità tanto per l’Occidente – ben saldo in cabina di comando – quanto per i Paesi emergenti. Sappiamo bene, inoltre, dove ci hanno portato queste scelte ultraliberiste. Il declino dell’ordine neoliberale ha, infatti, avuto origine negli anni di Bush, con la fallita ricostruzione dell’Iraq secondo criteri ultraliberisti e lo scoppio della Grande recessione nel 2008, e si è manifestato nell’ascesa di Trump e della sinistra guidata da Bernie Sanders. Tutta colpa della destra americana, dei conservatori repubblicani che diedero la cabina di regia per otto anni a un presidente evidentemente inetto come Bush?

Gary Gerstle ci invita prima di tutto a non ricercare risposte semplici quando è in gioco un’epocale trasformazione sociale, politica ed economica che riguarda quella che rimane la nazione più potente del mondo. Suggerisce Gerstle, se il neoliberalismo si è affermato è stato anche grazie a valori quali la fiducia nella libertà personale e nell’emancipazione individuale, il culto dell’innovazione tecnologica, il cosmopolitismo e il multiculturalismo, che dopo la fine della Guerra fredda hanno trovato terreno fertile anche in ambito progressista. Non a caso, tra i suoi principali fautori rientrano tanto il conservatore Ronald Reagan quanto il progressista Bill Clinton.

Per comprendere la parabola dell’ordine neoliberale e dove può condurci la sua caduta è necessario allora abbandonare i pregiudizi e ricorrere alla ricerca storica, ricostruendo il modo in cui l’ultraliberismo si è consolidato, smantellando l’ordine del New Deal prima imperante.

Gary Gerstle passa in rassegna così cent’anni di storia americana per rinvenire le tracce ideologiche, sociali, elettorali, organizzative e culturali di un sistema di idee e valori che si è costituito in ordine politico duraturo, egemonizzando la destra così come la sinistra. Come scrive nel libro: «L’ordine del New Deal aveva persuaso una cospicua maggioranza di americani che un forte Stato centralizzato potesse gestire nel pubblico interesse un’economia capitalistica dinamica ma pericolosa. L’ordine neoliberale aveva convinto una maggioranza di americani altrettanto ampia che il libero mercato avrebbe svincolato il capitalismo da inutili controlli statali diffondendo la prosperità e la libertà personale negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Oggi nessuna di queste proposte gode del sostegno o dell’autorità di un tempo. Che cosa verrà dopo?».

Una risposta certa non esiste, almeno nelle pagine di Gerstle, che però si chiudono con una riflessione che non si può eludere: l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 dimostra quanto la rottura di un ordine politico può essere pericolosa. Se ne sorgerà uno nuovo, potrà essere votato all’uguaglianza e alla solidarietà, ma anche all’autoritarismo.

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