La morte della piccola Sofia a Trento e la cronaca di questi ultimi giorni hanno riportato d'attualità l'incubo della malaria, una piaga debellata ormai da decenni, con la quale l'Italia e in particolare la Sardegna hanno dovuto convivere a lungo, pagando un elevatissimo tributo di vittime.

È una storia millenaria quella della presenza del morbo sull'Isola, erroneamente attribuito all'aria malsana e per questo chiamato "mal-aria", ma per i primi imponenti interventi di contrasto bisogna attendere la fine dell'800, quando vengono avviate le intense campagne governative a base di chinino, seguite più tardi dalle bonifiche d'età giolittiana e da quelle mussoliniane degli anni '30 del '900.

Il vero successo nella lotta alle temibili zanzare del genere Anopheles, però, arriverà solo alla fine della seconda guerra mondiale, grazie alla massiccia campagna condotta in Sardegna tra il 1947 e il 1951 dall'ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta Anti Anofelica) con il sostegno della Rockefeller Foundation e dell'UNNRA.

All'epoca l'importanza strategica dell'Isola e l'elevatissima incidenza locale del male ne fecero il banco di prova perfetto per sperimentare l'efficacia su vasta scala dell'insetticida DDT (Dicloro-Difenil-Tricloroetano), già utilizzato con risultati positivi in Brasile, Egitto e soprattutto in alcune aree del sud Italia dalle truppe americane durante la liberazione.

Con la supervisione scientifica dell'Health Division americana e del professor Alberto Missiroli della Stazione Sperimentale per la Lotta Antimalarica, si avviò una delle più imponenti campagne sanitarie della storia italiana: oltre 30 mila uomini impiegati e milioni di litri di DDT per un'area di più di 5 mila km quadrati e una spesa complessiva di oltre 10 milioni di dollari.

Polemiche a parte, soprattutto circa gli effetti nocivi dell'uso del DDT su terreni e abitazioni e per le migliaia di addetti alla disinfestazione, la battaglia sarda contro la malaria portò a un drastico abbassamento dei decessi, tanto che già nel 1950 furono segnalati solo 44 casi di infestazione, anche se non riuscì a eliminare del tutto la presenza del vettore endogeno. Ma per la Sardegna si trattò comunque di una grande conquista e della fine di una piaga millenaria, considerata a ragione tra le principali cause di mortalità.

Così, la malattia che "aveva ucciso più della guerra" rimase per i sardi soltanto un ricordo, e nel 1970 l'Organizzazione Mondiale della Sanità inserì finalmente l'Italia tra i Paesi liberi dal morbo.

(Redazione Online/b.m.)
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