Che cosa accadrebbe se all'improvviso vi risvegliaste in un luogo sconosciuto, lontani da casa e dalle persone che amate, con la testa confusa e colma di domande senza risposta? È ciò che succede a Chiara, 15 anni, protagonista del nuovo romanzo di Isabella Salmoirago “La cercatrice d’acqua” (Paoline Editoriale Libri, 2024,pp. 224).

L’esistenza di Chiara viene stravolta da una serie di misteriose coincidenze che la costringono a trasferirsi in un minuscolo paesino, dove viene a conoscenza di inquietanti dettagli sul passato della sua famiglia. Da qui sarà poi catapultata nel mondo di Aqua e scoprirà di essere l’erede diretta dell’ultima Cercatrice… A Chiara spetterà il difficile compito di trovare la Fonte che Toglie la Sete e salvare gli abitanti di Aqua assediati dai Predoni. Per farlo dovrà affrontare un viaggio pericoloso, fra trappole, insidie e creature mostruose. Riuscirà a sconfiggere il più subdolo e ingannatore dei nemici, rischiando di perdere tutto, anche se stessa, per i suoi amici?

Romanzo avvincente e allo stesso tempo viaggio alla ricerca di sé e delle proprie radici, La cercatrice d’acqua è anche una commovente storia sui legami che ci fortificano e che ci riconducono all’essenza e al vero senso della vita.

All’autrice, Isabella Salmoirago, chiediamo quali sono state le fonti di ispirazione del suo romanzo?

«Giusto iniziare parlando di ‘fonti’ per un romanzo tutto incentrato sull’acqua! Come sempre, ogni romanzo affonda nel vissuto di chi lo ha scritto e porta a galla tutto ciò che è immerso nel profondo: fatti, letture stratificate nel tempo, esperienze, valori, che vanno però guardati con una sorta di cannocchiale rovesciato che permetta di distaccarsene e di renderli in qualche modo ‘universali’. Nel caso della Cercatrice, la fonte più diretta è un passo del Vangelo di Giovanni: l’episodio della Samaritana, in cui una donna, con molti fallimenti alle spalle, va al pozzo nelle ore più calde del giorno ad attingere acqua, per non incontrare nessuno. E invece incontra un uomo che la stupisce con una richiesta, cioè le chiede da bere, spiazzandola, tanto che lei risponde: tu chiedi da bere a me? Il cuore di questa richiesta, e del mio romanzo, è l’idea che non esista nessuno così assetato che non possa dissetare qualcun altro».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Che tipo di ragazza è Chiara?

«È una ragazza di quindici anni, generosa, intelligente, capace di ‘risposte al vetriolo’, cresciuta troppo in fretta per un evento drammatico che scompagina le relazioni, crea conflitti e la costringe a prendersi troppe responsabilità. Ed è anche arrabbiata: patisce l’assenza di figure di riferimento valide perché se la madre è troppo invasiva, sempre in controllo, distratta dal lavoro e dal giudizio degli altri, il padre è assente, si ritrae dalla situazione. E in tutto questo Chiara diventa, suo malgrado, il riferimento per i fratellini, che adora, anche se li definisce ‘un’associazione a delinquere’».

Perché ha deciso di porre l'acqua al centro del suo romanzo?

«L’acqua è un elemento essenziale per la nostra vita, una risorsa fragilissima del nostro Pianeta, che ha anche una forte valenza simbolica e spirituale. È ciò di cui non si può fare a meno per vivere e quindi metafora di ciò che conta davvero, che è essenziale, che ci permette di restare vivi e di non inaridirci».

Chiara deve portare un fardello più grande di lei. A quali risorse può attingere?

«Chiara dice di sé: ‘È come avere dentro una voragine. Un cuore con un vuoto al centro, come una ciambella rinsecchita, o come uno di quei fiori assetati, dimenticati sui davanzali di Milano, che aspettano qualcuno che li faccia rinascere. E pensare che basterebbe solo un goccio d’acqua, tutti i giorni’. Si sente sola, le mancano le risorse che vengono dalla cura e dall’attenzione quotidiana di chi le è vicino, ma soprattutto le manca il fratello, il cui affetto però continua a essere per lei la risorsa a cui attingere, in un dialogo interiore che prosegue per tutto il libro».

Ha ancora un significato ricercare il senso delle cose e magari la felicità?

«Sì, certo. È qualcosa che tutti abbiamo dentro, che ne siamo consapevoli o meno. Ha un significato ancora maggiore, oggi, per i ragazzi e le ragazze che annaspano senza riferimenti e che la cercano dove possono».

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