Pubblichiamo oggi la lettera di una ragazza di 19 anni figlia di un cagliaritano detenuto a Viterbo. La giovane parla di una famiglia in difficoltà per una "giustizia troppo lenta e che non vuole sentire ragioni". E la speranza è che laddove la giustizia non riesce ad arrivare, possa fare qualcosa almeno la coscienza.

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"Gentile redazione,

sono una ragazza di 19 anni, e scrivo per raccontarvi la storia di un detenuto, mio padre, rinchiuso nella casa circondariale di Mammagialla, a Viterbo. Perché scrivo a voi? Perché si tratta di un uomo, cagliaritano, che sta pagando oggi e a 30 anni dalla data in cui si sono svolti i fatti per un reato che sarebbe in realtà andato in prescrizione dopo 21 anni.

E perché a condannarlo a questa pena, cui non ci diamo spiegazioni e cui non vogliamo rassegnarci, è stato il tribunale di Cagliari.

La vita di mio padre posso raccontarla in breve: poco più che adolescente e abbandonato dai genitori, ha affidato nel capoluogo sardo la sua esistenza a scelte di vita sbagliate. Perché l’ha fatto? Per andare avanti, e come lui stesso mi ha spiegato perché è arrivato un giorno in cui dei ragazzi di strada, proprio come lui, gli hanno offerto un lavoro. Un lavoro illegale, certo, perché a Cagliari a dei ragazzi di strada un lavoro legale chi l'avrebbe mai offerto? Lui preso dal bisogno ha accettato, racimolando così quei quattro soldi necessari ad andare avanti.

Parliamo del 1987, e nel 1990 finisce tutto, quando mio padre riesce a trovare un lavoro onesto che gli consente di tornare sulla retta via. Nel 1994 incontra mia madre, che lo accetta per ciò che è e per ciò che ha, veramente poco. I due formano insieme quella che oggi è la mia famiglia, con due figlie nate nel 1997 e nel 1998, e con una vita fatta di grandi sacrifici, ma felice e serena.

Fino al 2010, quando gli spettri del passato tornano a galla, e mio padre viene condannato dal tribunale di Cagliari in 1° grado a 14 anni e 8 mesi. La condanna è relativa a traffico di stupefacenti. Nel 2012, dopo ben 22 anni dal reato, mio padre viene quindi processato in 2° grado con una condanna a 12 anni e 8 mesi. Dopo 3 anni, il tribunale di Cagliari tira nuovamente fuori la sentenza, e mio padre si reca a Roma per la Cassazione che viene fatta il 24 febbraio del 2016.

La corte di appello di Cagliari da l'inammissibilità, e insieme all'avvocato decidiamo di presentare il ricorso in cassazione straordinario per la data dell'8 settembre 2016: anche la cassazione viene data inammissibile.

Il 22 dicembre 2016 mio padre viene quindi arrestato dopo 26 anni dal reato e portato al carcere di Rebibbia, dove ha un colloquio con un magistrato che dichiara che il suo reato è in realtà andato in prescrizione dopo 21 anni. Nel frattempo mio padre chiede il trasferimento al carcere di Mammagialla che, anche se molto più punitivo, è più vicino alla famiglia. E dal carcere presenta con l’avvocato un nuovo ricorso al tribunale di Cagliari, liquidato come inammissibile dopo soli tre giorni.

Una nuova istanza è stata ora presentata sia a Cagliari, sia a Roma, e abbiamo anche scritto al tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma al momento senza alcuna risposta.

Quello che noi riteniamo è che se una persona sbaglia è giusto paghi, ma questo non può accadere dopo 26 anni e se i reati cui si fa riferimento sono andati in prescrizione. Perché io, mia sorella, la mia famiglia dobbiamo pagare il prezzo della lentezza di una giustizia che non conosce ragioni?

Chiedo perdono per lo sfogo, e mi auguro che forse, con la pubblicazione di questa lettera, se in questo paese una giustizia non riesce ad esistere, che almeno qualcuno provi ad avere una coscienza.

Grazie di cuore".

M. M.* - Viterbo

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