A ventiquattr’ore dalla fine dell’obbligo di mascherina all’aperto, la vita è già un’altra cosa. Si respira meglio, si riconquista il senso di gesti come mettersi il rossetto o radersi, se ti sorridono non devi intuirlo da quanto strizzano gli occhi e poi ormai col caldo il bavaglio di garza era una seccatura vera. Ma soprattutto cambia il modo di guardare gli altri. Fino a domenica sera chi andava in giro senza mascherina, o abbassata, ci era odioso. Uno di quei furbi che snobbano le regole, tanto ci siamo noi fessi che ci copriamo naso e bocca a e paghiamo le tasse.

Ventiquattr’ore dopo, che dal punto di vista pandemico non significano nulla, chi va in giro per strada mascherinato ti fa un’antipatia speculare. Chi è questo secchione che se ne frega di rossetti e sorrisi? Vorrà farmi sentire un trumpiano, un negazionista, un untore? E i tre cingalesi che marciano nel caldo di Villanova carichi di merce e col pannicello sulla bocca? Non sanno che l’obbligo è finito o con la cautela di tutte le minoranze sanno che comunque è meglio mostrarsi più ligi dei ligi?

Dire che il virus è un esperimento sociale fa un brutto effetto complottista: l’esperimento presuppone un ricercatore che lo organizzi. E allora diciamo che è un laboratorio dove siamo cavie e studiosi, e sarebbe un peccato se ne uscissimo esperti del virus ma senza aver imparato qualcosa su noi stessi.

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