S e è vero quel che trapela dalla redazione di “Belve”, dopo aver inizialmente accettato di farsi intervistare d’un tratto Ely Schlein ha cambiato idea. La reazione iniziale è di sollievo: a Francesca Fagnani basta una rasoiata con punto interrogativo finale per fare del male a chiunque, figurarsi a una esordiente che per presentarsi aveva scelto un’intervista su Vogue passata al cicaleccio giornalistico quasi solo per la faccenda dell’armocromista (che poi sarebbe una persona amica che le dà qualche dritta su come vestirsi, ma è bastato quel termine inconsueto per far esalare a torto o a ragione a tutto il testo un aroma da ztl che ha mandato al settimo cielo tutto il populismo de noantri). Schlein, sia detto col rammarico di chi vorrebbe alla guida di un fronte progressista ampio una leader autorevole, ancora non sembra in grado di dettare l’agenda e di convincere chi non sta già dalla sua parte. E quando interviene come ha fatto sul caso Giambruno lo fa tardi, quando le agenzie sono già piene delle controrepliche da destra, e in modo non efficacissimo, finendo per ricordare il Ghezzi che parlava fuori sincrono. Resta il dubbio sul perché inizialmente avesse accettato l’intervista. Forse per ripetere la battuta, finora l’unica incisiva, scandita dopo aver battuto Bonaccini: ancora una volta non ci hanno visto arrivare.

© Riproduzione riservata